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BLESSED DEATH – Larry Portelli

Momento da culto per tutti i thrashers: siamo riusciti a rintracciare per un’intervista-amarcord il singer dei fenomenali Blessed Death, Larry Portelli. Il gruppo è stato autore di due dei dischi thrash più estremi e slayeriani usciti negli anni ’80, “Kill Or Be Killed” e “Destined For Extinction”, album veloci, caotici ed isterici che andrebbero riscoperti per capire cosa voglia dire la furia cieca in musica. Non c’erano freni, non c’era ragionamento, solo istintività e passione per l’heavy metal nel sound dei cinque del New Jersey, sciolti da tempo ma meritevoli di una rispolverata, resa agevole dalla ristampa dei primi due full-lenght operata dalla Metal Mind recentemente. E ora, sotto con le parole di Larry, un metal-head dall’entusiasmo straripante anche oggi che è lontano dalle scene e che, quando si parla della sua vecchia band, si fa letteralmente trascinare dalla nostalgia in un ricordo accorato e vivido degli anni in cui il thrash dettava legge in cielo, in terra, in ogni luogo.

Avete fondato la band nel 1984. Quali erano le sensazioni e i bisogni che vi hanno spinto a creare una thrash metal band? Che cosa ricordi di quel periodo della tua vita?

I Blessed Death si sono formati in maniera davvero unica. Nick (Fiorentino, uno dei due chitarristi dei Blessed Death, n.d.r.) e io stavamo suonando in una band chiamata “Krome Locust”: facevamo cover dei Black Sabbath in New Jersey e Old Bridge. Jeff (Anderson, l’altro chitarrista, n.d.r.), Kevin e Chris (i gemelli Powelson, rispettivamente bassista e batterista, n.d.r.) suonavano in un’altra band, conosciuta sotto il nome di “Death”. Il bassista nei Krome Locust, Steve Horenstein, si suicidò, lasciando me e Nick a portare avanti da soli il nostro progetto. Ci stavamo vedendo con i nostri amici Kevin, Chris e Jeff, e cominciammo a provare tutti insieme. In breve tempo cominciammo a scrivere materiale originale e a sviluppare il nostro sound basandoci sulle idee di Kevin e Chris. Le cose andarono in maniera molto naturale, cercavamo di trarre qualcosa di positivo dalla morte di Steve, avevamo realizzato che la sua morte ci aveva portato a suonare insieme, da qui il nome di Blessed Death (Morte Benedetta, n.d.r.).

Arrivavate da un’area molto industrializzata, il New Jersey, con una grande densità di popolazione. Pensate che ciò abbia avuto una grande influenza su di voi, dandovi rabbia e desiderio di ribellione? Com’era vivere nel New Jersey al tempo dei vostri primi due album?

Veramente, noi provenivamo da piccoli centri, lontani dalle aree industrializzate o dalle grandi città. Eravamo dei blue collar (classe operaia, n.d.r.), lavoravamo duro per vivere, guidati dalla nostra passione e dall’amore per la musica, cercavamo di creare la musica più pesante che ci fosse in circolazione. Nient’altro contava per noi, eravamo testardi, convintissimi delle nostre idee e incazzatissimi, combattevamo duramente per difendere quello che avevamo e per creare quello che volevamo. Cominciammo a registrare i primi demo tapes, a stampare e vendere le nostre t-shirts, a suonare ovunque potessimo. Ricordati che quelli erano tempi in cui eravamo ben lontani dalla diffusione capillare di internet che abbiamo oggi: facevamo tutto quanto attraverso telefonate e via posta. Avevamo grandi amici a Old Bridge; Rocking Ray, Metal Joe e Bulldozer Bob erano grandi supporter dei Blessed Death e ci permettevano di avere attenzione da parte delle persone che avevano qualche voce in capitolo nell’ambiente. E con loro passammo dei party incredibili nei weekend, che non potresti nemmeno immaginare, ma questa è un’altra storia…

”Killed Or Be Killed” arriva nel 1985. Quali furono le reazioni a quel disco?

Fu una cosa abbastanza selvaggia. Stavamo vivendo un sogno. Pensa che con quel disco eravamo sotto contratto con la stessa etichetta discografica dei Metallica, degli Overkill e degli Anthrax. Succedeva di trovarci assieme con i ragazzi di Slayer e Megadeth, in quel periodo suonavamo regolarmente al famoso club Lamour’s di Brooklyn col meglio del meglio. Avevamo un gran seguito lì e per noi cominciò una specie di valanga, non so se mi spiego. Vivere in New Jersey per noi stava diventando un po’ una rottura, visto il successo che avevamo a New York e le possibilità che ti dava a livello musicale. E’ anche vero, però, che il New Jersey era pur sempre casa nostra e lì vivevamo… Musicalmente, adoravamo quello che avevamo creato, il fatto che attraverso le lyrics potevo tirar fuori le mie emozioni, i miei pensieri e le mie sensazioni e metterle per iscritto per mostrarle al mondo. Ricevemmo delle grandi recensioni per quel disco, tra l’altro.

Dopo due anni, il secondo album, “Destined For Extinction”, che è più estremo e curato rispetto al primo disco. Cosa pensi adesso di quel lavoro? In generale, quali sono secondo te le migliori qualità di “Killed Or Be Killed” e “Destined For Extinction”?

“Destined To Extinction” era il prodotto della nostra aggressività, rabbia e disprezzo per molte cose che giravano attorno alla nostra vita. Non potevamo realizzare quanto grandi fossero questi sentimenti finché non ci siamo seduti ad ascoltare il prodotto finito al termine delle registrazioni. Eravamo incazzati per molti motivi e questo è venuto fuori compiutamente nel disco. Dal punto di vista dei testi, avevo a disposizione la miglior piattaforma possibile per parlare di argomenti reali e così importanti per me, che riguardavano le persone e l’umanità in generale. Sentivo che l’ipocrisia era più viva che mai nel mondo, ogni cosa che ho scritto la sento ancora oggi come qualcosa di vivo dentro di me e mi rivedo completamente in quei testi anche dopo tutti questi anni.
“Kill Or Be Killed” è stato speciale per noi: rifletteva molto di noi stessi, delle nostre vite e della musicalità tipica di quel periodo. E’ stata la nostra prima prova e ci abbiamo lavorato duramente perché venisse fuori nella maniera migliore possibile. Ha delle caratteristiche melodiche e di scrittura dei brani di cui siamo molto orgogliosi. “Destined For Extinction” ha significato moltissimo per noi perché ci ha dato la possibilità di sputare fuori tutto il veleno che ci circondava e che venne trasformato, col disco, in un qualcosa di molto ruvido e in your face. Riuscimmo a tradurre la nostra rabbia in un tour europeo carico di impatto, in cui spaccammo alla grande. Riascoltando oggi quell’album penso: “Wow, che periodo infernale stavamo passando?”.

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“Destined For Extinction” ha una copertina strana per un album thrash: Stonehenge. Per quale motivo avevate scelto questo soggetto? Qual è il legame tra la cover e i testi?

Se ricordo bene, la Roadrunner si prese molto a cuore la copertina. Pagarono una gran quantità di denaro a quel fotografo perché l’immagine è formata da due fotografie diverse ed era stata catturata da un fotografo che all’epoca era piuttosto famoso. A noi piaceva perché raffigurava il fatto che l’inevitabile estinzione della razza umana poteva essere predetta a Stonehenge. Ma non prendere la cosa in maniera troppo letterale, il nostro pensiero era “nessuno conosce nulla” e come esseri umani noi stiamo seduti a pensare al futuro troppo tempo, tempo perso, in definitiva.
Io ho sempre sentito e provato a tratteggiare nei miei testi il fatto che, se ci fosse qualcosa da conoscere veramente, tu lo potresti sapere solo al momento della tua morte, non prima, al massimo dopo. Noi volevamo sederci a guardare tutto lo schifo che succedeva ogni giorno e dire qualcosa su quello che accadeva. La cosa buffa è che, alla fine, in questi anni non è cambiato nulla, accadono sempre le stesse cose nel mondo, tutti i giorni (l’originale, più incisivo, è “same shit going on in the world today”, n.d.r.).

Come sono stati i vostri rapporti con la Roadrunner?Avete avuto una buona promozione dalla label a quei tempi?

All’inizio abbiamo pensato fosse una gran cosa far uscire il secondo disco per loro, dopo non abbiamo sentito di ricevere la promozione di cui avremmo avuto realmente bisogno. Lottammo per avere maggior sostegno, ricordo in modo particolare un meeting che io e Jeff avemmo con quelli dell’etichetta a New York, nella loro sede principale. Quando lasciammo l’incontro sentimmo che la nostra posizione nei loro confronti non era quella ottimale. Riguardo a quel meeting, potrei scrivere un libro…

Nel 2006 arriva “Hour Of Pain”, che era stato registrato in origine nel 1991. Come avete lavorato per questo album? Quali sono le differenze coi vostri precedenti lavori? Perché sono passati così tanti anni prima che uscisse?

Registrammo “Hour Of Pain” negli stessi studi di “Destined For Extinction”, con Alex Perialis, ai Pyramid Studios di Ithaca, New York. Noi facemmo la nostra parte, registrammo le nostre song e poi tornammo a casa. Il disco era finanziato da una sussidiaria della Roadrunner che, nel frattempo, perse la capacità di portare avanti il progetto fino in fondo, così l’uscita di “Hour Of Pain” è divenuta impossibile per molti anni, finché Nick non è riuscito a spuntarla nella battaglia per far ottenere ai Blessed Death i diritti su quel materiale, che fino ad allora erano rimasti alla label.
Ritengo che il nostro terzo disco sia ancora meglio dei predecessori, quando lo riascolto oggi mi rendo conto che eravamo ulteriormente cresciuti musicalmente e allo stesso tempo eravamo rimasti fedeli al nostro sound.

Quali sono stati i commenti all’album? Non c’è stato interesse da parte di alcuna casa discografica per distribuirlo? Nel 2006 era ormai rinato un certo interesse per il thrash.

Abbiamo ancora un nostro zoccolo duro di fans, abbiamo ottenuto alcune ottime recensioni per “Hour Of Pain”, ed è stato anche il nostro primo disco disponibile su I-Tunes. Nick ha lavorato duramente e speso molte ore per arrangiare al meglio questa release. Siamo contenti che alla fine l’album sia uscito e sia disponibile a un gran numero di persone, permette che il nome della band continui a girare nella scena. Se ai fan piace è una gran cosa, quando riascolto queste canzoni ne sono orgoglioso.

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Nei Blessed Death c’erano due gemelli al basso e alla batteria, era una situazione particolare. Come vivevate la cosa? Credi che sia stato un fattore importante nelle relazioni all’interno della band?

Sì, era una parte importante dei Blessed Death. Facevamo ogni cosa insieme, eravamo una famiglia. Il legame tra di noi era strettissimo, non credo potesse essere più forte di quanto non fosse già. Certo, avevamo anche noi i nostri alti e bassi, litigi, disaccordi, ma quando mi guardo indietro, vedo quanto fossimo vicini gli uni agli altri e avessimo gli stessi obiettivi, mi rendo conto della speciale relazione che ci univa. Era qualcosa di speciale e ci dava la capacità di occuparci con grande dedizione alla nostra musica. Il fatto di avere due gemelli a occuparsi della sezione ritmica era una parte fondamentale del nostro sound. L’abilità di comunicare tra di loro durante i concerti era sconcertante, funzionava molto bene per la band.

Tu sei stato uno dei singer più pazzeschi che si siano sentititi nella scena thrash degli eighties: la tua voce passava da tonalità vicine al growl a screaming altissimi taglienti come un coltello e lancinanti come la sirena di un allarme aereo. Da cosa proveniva questo approccio tanto estremo? Nella band, ogni membro apprezzava questo tuo modo di cantare?

Non avevo mai usato il cantato death o le note alte nelle band precedenti in cui avevo suonato, non sapevo di avere queste doti e di poter affrontare certe tonalità. Certo, ero un grande fan di Rob Halford, Ian Gillian, King Diamond, Eric Adams, ma non avevo mai cercato di emularli. Mi ricordo ancora il primo giorno che mi è scattato qualcosa in testa a riguardo: i Blessed Death si erano appena formati e stavamo scrivendo nuove canzoni e provando nel seminterrato di Kevin e Chris a Mendham, New Jersey. I ragazzi stavano provano alcuni riff, li stavano giusto impostando e io stavo cercando una linea vocale veloce da usare con questi riff. Intanto che provavo, me ne sono uscito con questo nota alta e vibrata alla Ian Gillian: da dove provenisse una cosa del genere, proprio non saprei dirlo. Ricordo di essere rimasto shoccato e non sapevo spiegarmi cosa mi fosse successo. Kevin mi guardò e mi disse: “Per la miseria, che cazzo era?”. Gli risposi che non lo sapevo e poi pensai: “Vediamo se mi riesce di nuovo…”. Da lì è nato il mio modo di cantare e mi sono accorto subito che si adattava molto bene alla musica, esprimeva perfettamente l’aggressività e la passione che sentivamo dentro di noi. Nel momento in cui questo modo di cantare è diventato popolare l’abbiamo amato, quando è andato fuori moda l’abbiamo messo in discussione ma, alla fine, fa parte del mio essere singer, è il mio modo di esprimermi. Stavamo cercando di distinguerci dalla massa e di lasciare l’audience in stato di shock e soggezione. Il mio approccio vocale arriva dalla volontà di buttar fuori ogni stilla di energia contenuta in ogni nota.

Penso che eravate una delle poche band thrash che suonava cattiva ed intensa come gli Slayer senza esserne un clone. Isterica è l’aggettivo che userei per descrivere la musica dei Blessed Death. Quali erano le emozioni che volevate esprimere con la vostra proposta? Cercavate ossessivamente velocità e caos, quando scrivevate nuove canzoni?

In quei giorni non cercavamo nulla di preciso, volevamo solo essere i più heavy possibile. Intendevamo avere delle lyrics con un minimo di significato e che volessero dire qualcosa per noi e per chi ci ascoltava. La nostra aggressività veniva dalla passione per quello in cui credevamo e che ci stava profondamente a cuore. Ogni singola nota che suonavamo e ogni parola che urlavo era reale e colma di significato per noi.

Negli ultimi anni avete suonato qualche volta insieme come Blessed Death, oppure la band è ormai definitivamente sciolta?

Sono quasi 20 anni che non ci troviamo insieme nella stessa stanza tutti e cinque. “Never Say Die” è un motto che vuol dire molto per me: basta leggere il testo di questa canzone dei Black Sabbath per capire cosa intendo dire. Negli anni ognuno di noi ha intrapreso strade diverse, rinunciare a ciò per cui abbiamo lavorato tanto è stato doloroso, ho sempre amato la nostra musica e guardo indietro a ciò che abbiamo creato con molto orgoglio.

Ho trovato alcuni video dei Blessed Death risalenti alle vostre performance degli anni ’80. Ricordi dove e quando sono stati registrati?

Ce ne sono molti che ci riguardano, alcuni su Youtube, ma non ricordo di preciso a quali momenti si riferiscano. Ho sentito che c’è un video di un concerto a Old Bridge che sta per uscire e racchiude per intero un nostro concerto. E, oltre a questo, dovrebbero uscire delle nuove t-shirt della band.

Sei soddisfatto della ristampa di “Killed Or Be Killed” e “Destined For Extinction” fatta dalla Metal Mind?

In sé e per sé non è che la cosa mi cambi molto, però mi piace il fatto che ci siano ancora persone che sono interessate a vendere la nostra musica e ci siano dei metalhead interessati ad ascoltarla.

Ci sono possibilità che possa un giorno concretizzarsi una vostra reunion?

Never Say Die!