I Cradle of Filth sono uno di quei gruppi che fanno sempre parlare di sè, nel bene o nel male. Anche al di fuori della sfera prettamente metal sono parecchio conosciuti, generalmente amati od odiati senza mezze misure. In occasione dell’uscita del loro nuovo album il 31 ottobre (mica vi sareste aspettati di trovarlo nei negozi per pasqua?) abbiamo avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con il chitarrista Paul Allender, un energumeno enorme ma dai modi da vero gentleman, posato e disponibilissimo.
Ciao Paul, bentornato in Italia e su HeavyWorlds. Come va?
Bene! Molto bene, grazie!
Siete qua in Italia per promuovere “Manticore and others horrors”. Puoi descriverci il disco?
Beh, è un po’ più semplice degli altri dischi, quindi ci troverete più groove, più attitudine e più aggressività rispetto alle ultime cose. Diciamo che è un po’ un ritorno al passato, alla scena “british heavy metal”. Molti giornalisti ci hanno fatto i complimenti, descrivendolo come un ritorno alle radici della band.
Quindi sarà un album di rottura rispetto agli ultimi? Avete abbandonato completamente anche le influenze death metal?
Vedi, negli ultimi album, da quando sono tornato, personalmente mi sembrava sempre che mancasse qualcosa. Per cui ci siamo presi un po’ di tempo, ci siamo seduti ed abbiamo ascoltato i primi album, come “Principle of evile made flesh”. Mi sono reso conto esattamente di cosa mancava, i riff, il groove, la roba metal tradizionale. Questo album conterrà tutte queste cose, che sono quelle che hanno reso grandi dischi come “Midian” e “Principle…”.
Quanto è durato il processo di scrittura dell’album?
A parte la batteria, ci abbiamo messo sei-sette mesi per scrivere le canzoni…
Allora deve essere un masterpiece per forza!
Sì, ci abbiamo messo tanto perché volevamo che tutto fosse perfetto una volta entrati nello studio. Ed anche lì, abbiamo suonato tutti insieme, anche se poi ogni strumento è stato registrato a parte. Questo perché negli album precedenti tutto sembrava troppo elaborato, meccanico, quindi questa volta ho suggerito questo modo di lavorare, forse un po’ naive, ma che trasmette maggiormente l’idea di una band che suona e non di un computer.
Quindi avete registrato tutto in modo analogico o avete usato Pro Tools?
Abbiamo usato Pro Tools ma sfruttando le caratteristiche base, siamo sempre noi che suoniamo! Ti dico una cosa però, se avessi potuto avrei registrato tutto completamente su nastro…
Ho paura che ai giorni nostri sia impraticabile però… Ci sono tempi da rispettare, gli ascoltatori che vogliono un certo tipo di suono…
Sì, ma io volevo veramente farlo! Ne ho parlato al produttore, e lui mi ha risposto che non aveva la strumentazione adatta! Per cui niente…
Hai qualche strana storia da raccontarci che è successa durante la registrazione dell’album?
Purtroppo no, eravamo così impegnati a registrare che non avevamo nemmeno il tempo di pensare! Eravamo sempre in ascolto per trovare ogni dettaglio che potesse suonare meglio, per cui siamo stati impegnatissimi!
“Manticore…” è un concept album?
No, è semplicemente una raccolta di canzoni, nessun concept. Parla di mostri, di demoni interiori, varie cose, non c’è nessuna linea guida in particolare che leghi una canzone all’altra.
Comincerete il tour tra poco, puoi rivelarci se avete qualche sorpresa in serbo?
Cominceremo il tour a novembre e fareno sei brani del nuovo album e sei brani vecchi. Faremo i vecchi classiconi, ovviamente, brani come “Her ghost in the fog” non possono mancare. Quello che c’è di nuovo è che volevamo proporre qualcosa di veramente innovativo come aspetto visivo, di visionario, quindi abbiamo ingaggiato elementi esterni, gente che non ha mai avuto niente a che fare con noi. Vedremo cosa inventeranno, ovviamente noi dovremo approvare, ma credo che vedrete qualcosa di estremo.
Avete suonato a qualche festival quest’estate?
Abbiamo suonato al Wacken ed è stato veramente divertente, ma anche strano perché è piovuto tutto il tempo, poi appena siamo saliti è uscito il sole dal nulla!
Dove preferite suonare, nei grossi festival all’aperto o nei locali con i fan più incalliti?
Preferiamo tutti suonare nei club. C’è un suono migliore, un pubblico più attento e in generale migliore. Vedi, ai festival ci sono migliaia di persone, ma sono sparpagliate, manca quell’attenzione e quell’interazione che solo nei locali puoi avere. Personalmente io da spettatore non andrei mai ad un festival enorme, e preferirei sempre suonare in locali con una capienza di duemila persone al massimo. Quando i locali sono più piccoli i volumi sono più alti, c’è più energia e in generale la gente si scatena di più.
Quali sono i tuoi stati preferiti tra tutti quelli in cui avete suonato? Sii sincero…
Io sono sempre sincero! Direi assolutamente il Sud America, là sono fottutamente, completamente fuori di testa! Mi ricordo che in Messico stavo suonando, non mi sembra fosse un assolo, comunque c’erano tremila persone che stavano cantando la mia linea di chitarra! Quando me ne sono reso conto ho pensato “Cazzo! Non sbagliare una nota o sei fottuto!”. Veramente stupefacente!
Avete mai suonato con gruppi che per farvi da supporter hanno usato il metodo “pay to play”? Ci sono molte polemiche adesso riguardo questo sistema.
Onestamente non lo so, del tour si occupa la nostra agenzia di booking. Noi possiamo esprimere qualche preferenza, se c’è qualche band con cui non siamo in buoni rapporti ad esempio, ma poco altro. Questo sistema può essere un buon incentivo per una band emergente, perché li pone davanti ad un pubblico che normalmente non avrebbe e li costringe ad impegnarsi al massimo per vendere il merchandising, l’unico modo per rientrare nelle spese. Mi ricordo che quando noi abbiamo cominciato abbiamo sempre suonato gratis, vendevamo le magliette per pagare la benzina del furgone e poterci spostare.
Hai qualcosa in particolare che ti spinge ad andare avanti tour dopo tour?
Semplicemente amare quello che faccio. La musica metal o ce l’hai nel sangue o non ce l’hai. Non ci sono mezze misure. Se tu ami il metal e lo stile di vita che ne consegue, continui ad andare avanti perché è quello che ami di più fare. Non pensi neanche un attimo “ohh, stasera non ne ho proprio voglia…”, non ti passa nemmeno per la testa!
Cosa fai in genere sul tour bus per rilassarti?
Gioco con l’I-pad (ride perché quando sono arrivato era tutto preso da un gioco dove ammazzava zombie a profusione)! Oppure semplicemente dormo. Non bevo, non fumo, sto semplicemente rilassato a giocare, guardare dei film o ascoltare della musica.
Ormai sono vent’anni che sei nel mondo della musica, c’è ancora qualcosa che ti sorprende?
Sì, i fans. L’attaccamento che hanno nei confronti di una band. Questa è una cosa assolutamente incredibile, che penso che si trovi solo nel metal.
Hai ancora dei sogni come musicista o la tua carriera artistica ti appaga completamente?
No, niente nella mia vita è mai completo! Ci sono ancora molti traguardi che vorrei raggiungere come chitarrista. Ultimamente ho registrato un album da solo dove ho suonato cose completamente diverse, per sperimentare e testarmi come musicista. Ho cominciato a tenere dei corsi di chitarra, anche questa una cosa che non avevo mai fatto in precedenza. C’è sempre qualcosa di nuovo su cui puoi applicarti.
C’è un chitarrista che ti ispira particolarmente?
Al Di Meola. Penso che sia il chitarrista più brillante e versatile che ci sia in circolazione. Veramente un fenomeno.
Quindi quando ascolti atri chitarristi preferisci fusion e jazz?
Sì, ma non solo. Vedi, quello che mi importa realmente non è la velocità ma quello che mi trasmette, il groove, le emozioni. Ci sono milioni di chitarristi che sanno suonare alla velocità della luce, ma quello che riesce a trasmettere Al Di Meola anche solo con una nota è incredibile. Per questo anch’io preferisco mettere del groove in una canzone piuttosto che riempirla di spazzatura shredding. Anche quando dò lezioni di chitarra, cerco di insegnare che non serve l’accordatura perfetta, l’esecuzione perfetta, conta il groove ed esprimere quello che hai dentro. Ecco quello che ha perso l’industria musicale dei giorni nostri. Suonare la chitarra non è uno sport, è un’espressione di te stesso. Per questo io cerco di insegnare ai ragazzi l’importanza del songwriting e di esprimere quello che hai dentro.
Ok, siamo alle ultime domande. C’è qualche band emersa di recente che ti ha impressionato?
Onestamente no. Sento solo tanti gruppi che vogliono assomigliare a qualcun’altro. Nessuno vuole suonare le proprie cose, ma semplicemente copiare le influenze. A volte mi chiedo che cazzo stia succedendo…
Hai visto la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi?
No, sfortunatamente l’ho persa.
Ok, quello che volevo chiederti è perché sia stata celebrata la storia della musica inglese tralasciando completamente il metal. Perché non c’eravate? (ride fragorosamente!) Beh, almeno un’apparizione di Iron Maiden o dei Black Sabbath ci voleva! Il metal inglese ha fatto la storia della musica…
Beh ovviamente il pubblico televisivo non lo voleva! Il metal inglese ha fatto la storia della musica, è vero, ma rimane un fenomeno underground, senza nessuna esposizione mediatica. Ridicolo.
Allora la situazione è la stessa ovunque…
Sì, assolutamente. Ed è assurda. Ci sono così tanti artisti incredibili che non ricevono una giusta esposizione mediatica e musicisti eccezionali che non riescono a trovare visibilità nel circuito mainstream.
Ok, abbiamo finito! Ci vediamo a Bologna!
Assolutamente! Ciao!