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Fury’n’Grace – Matteo, Christian

Prefazione:
Se siete deboli di cuore, evitate questa intervista. Se siete amanti dei clichè tipici da rockstar, abbandonate questa intervista. Qui ci sono pensieri veri, parole vere, filosofie scomode per profondità di concetto; ecco perchè non mi sento ipocrita nell’affermare che questa chiaccherata con Matteo e Christian dei Fury’n’Grace rappresenta l’apice del mio ‘giornalismo musicale’. Non troverò più sulla mia strada persone (e ho usato questo termine apposta) che mi sappiano spiegare il significato delle loro scelte con grigia sincerità, facendomi vedere un lato ‘umano’ che mai avevo preso in considerazione.
L’occasione è il nuovissimo “Diabolism Of Conversation”, un disco che mi ha tolto il fiato al punto da considerarlo l’highlight italiano del 2011. So che smaniate, quindi non mi dilungo maggiormente…

Ciao ragazzi, benvenuti in Heavyworlds.com…come vanno le cose in casa Fury’n’Grace?

M: Non c’è male, non c’è male: sempre a un passo dal collasso. Ci manteniamo senza sforzo in questo stato psicofisico per scrivere i nuovi brani, per sopportare il quotidiano. Forse è anche questo che fa di noi una bestia rara: gli altri stanno tutti bene, o almeno ci tengono a ostentarlo con disinvoltura. Le interviste sono sempre molto buffe, e questa, del resto, non sarà un’eccezione.

Il 2011 ha visto celebrare la nascita del vostro nuovo album “Diabolism Of Conversation”. Vi va di parlarcene in dettaglio?

M: Il disco è un riflesso estetico di ciò che abbiamo vissuto nei due o tre anni precedenti all’uscita. C’è una necessaria corrispondenza nella musica, è inevitabile. Quindi, ecco le strutture dei brani che tendono a sgretolarsi, ad aprirsi addirittura a silenzi, a inglobare errori di esecuzione, fino alla pernacchia, al peto. E’ come se avessimo voluto sabotare deliberatamente quelle che per altre band sono formule su cui adagiarsi. Poltrone comode per gente che ha smesso di mettersi in gioco, se mai l’ha fatto, per chi ha deciso di non rischiare più. Invece c’è una felicità rara nella dissoluzione, c’è una vera ebbrezza nel far cortocircuitare gli schemi. A partire dal primo brano, “Macabro”, iniziamo a giocare, a smontare e rimontare, a cambiare funzione alla sequenza di accordi del ritornello, della strofa. Più si procede con l’ascolto e più il gioco si fa sottile e complesso. Questa macchina che si smonta da sé è “Diabolism of Conversation”.

La fusione tra varie facce del metal e le intriganti scelte di suoni sono due delle principali caratteristiche di “Diabolism Of Conversation”…avevate ‘premeditato’ di ottenere un platter di questo spessore prima di iniziare a comporlo?

M: No, è tutto inconscio. Ci si accorge solo a posteriori del risultato. Siamo incapaci di fare i furbi e pianificare. Cioè di intendere e di volere.
C: Ancora oggi non ci è ben chiaro che cosa abbiamo ottenuto. Altresì, non è ormai più necessario comprenderlo. L’assenza di obiettivi li centra inesorabilmente tutti, anche quelli più remoti e incomprensibili.

“Diabolism Of Conversation”, dal punto di vista dell’ascoltatore, è un viaggio senza ritorno, con continui cambi di sfumature…dal vostro punto di vista, ovvero compositivo/esecutivo, invece cosa rappresenta?

M: Ciò che siamo stati e che non saremo più.

Altra caratteristica di “Diabolism Of Conversation” è l’atmosfera cupa e opprimente che permea tutte le tracks, già in parte preannunciata nel debut “Tales Of The Grotesque And Arabesque”. Cosa vi ha spinto ad andare ‘oltre’, sia in termini compositivi che ‘qualitativi’, rispetto alla prima release?

M: Istinto di sopravvivenza. Senso del dovere. Un musicista vivo è necessariamente una persona incapace di indulgenza nei confronti di ciò che ha realizzato: superare sé stesso, passare ad altro è tutto ciò che conta. E’ esclusa ogni possibilità di autocompiacimento: nella maggior parte dei casi si tratta di piccole conquiste, quindi c’è ben poco da complimentarsi. Se incominciamo a darci pacche sulle spalle è finita.   
C: E’ un processo automatico, in un progressivo disincanto generale. “Diabolism…” non è  il prodotto finito, non è il frutto del lavoro operaio: è un reflusso. Un rigetto.

“Diabolism Of Conversation” è caratterizzato dall’entrata nella band di Deathmaster alle vocals…cosa è riuscito ad aggiungere al sound dei Fury’n’Grace con la sua personalissima dote canora?

M: Si può anche dire che ha tolto qualcosa. Ha contribuito a far fuori certi codici che forse permettevano all’ascoltatore di collocarci più facilmente, di orientare il proprio ascolto su coordinate già note. La grandezza sta anche nel saper togliere. E sottraendo è venuto a galla il mistero. Sì, la sua è una voce misteriosa, allo stesso tempo terrena e ultraterrena. Un fantasma con la bronchite.
C: Deathmaster è il boia dell’ostentazione, la tomba della clinic. Basta con la ginnastica dimostrativa, con l’esibizione dell’allenamento. Qui si tratta davvero di altro.

L’artwork di copertina lascia perplessi: da un lato la sicurezza di una  famiglia agiata riscontrabile nei vestiari e nell’ambientazione, dall’altro l’insicurezza negli sguardi e la ‘contrapposizione generazionale’…com’è nata l’idea di dare a “Diabolism Of Conversation” una presentazione di questo tipo?

M: Si pensava di raccogliere foto dagli archivi personali di ognuno di noi. Una sorta di bizzarra celebrazione delle proprie origini. Quelle di Kiske Wrathlord erano particolarmente adatte: oltre a essere immagini stupende, comunicano uno straordinario senso di attesa. Se osservi il retro del digipak è evidente. Guarda, i tuoi antenati sono in attesa, ti aspettano nell’altro mondo, immobili, fiduciosi, inquietanti. E’ un invito a raggiungerli, a tornare a casa. Questa visione era una perfetta illustrazione di alcuni temi del disco.   

“Diabolism Of Conversation” ha segnato il passaggio dalla Dragonheart Records alla Underground Symphony…come vi trovate nella vostra ‘nuova casa’?

M: Benissimo. Stimiamo molto chi dimostra un interesse reale per il progetto. Chi non ha problemi di comunicazione e esige che non ce ne siano. A queste condizioni è tutto molto semplice. Siamo a nostro agio. Viste le nostre esperienze precedenti al debutto del 2007, avere a che fare con Dragonheart e Underground Symphony è stato ed è un sollievo.

Parliamo di promozione: quando potremo vedere i Fury’n’Grace dal vivo e soprattutto cosa possiamo aspettarci dai vostri show?

M: Considerati gli impegni dei vari membri sarà possibile organizzare qualcosa solo in primavera, credo. I nostri concerti sono singolari: durate la performance tendiamo a scomparire. A chi assiste offriamo qualche istante di oblio. Si stabilisce una comunicazione verticale, anticivile, anarchica. Il pubblico è esplicitamente invitato a lasciare a casa la carta d’identità.

Gli arbori dei Fury’n’Grace si possono far risalire a ben 17 primavere fa, anche se la vostra prima uscita è targata 2007…com’è maturato lo spirito della band nell’arco di quasi 20 anni di carriera?

M: Nonostante le inevitabili delusioni e disillusioni che comporta il commercio con gli altri, riusciamo ancora a farci travolgere dallo stupore, specialmente in sede compositiva. L’abbiamo meritato. Ovviamente, più si invecchia e più è difficile mantenere il candore e l’ingenuità necessari. Ne siamo ancora capaci. E questa è una cosa che non ti procuri con l’esercizio.

Tutti voi avete come background anche altre esperienze importanti: quanto di queste siete riusciti a portare in “Diabolism Of Conversation”?

M: Per me è stato infinitamente più importante sapersi lasciare tutto alle spalle. Ripartire ogni volta da zero. Farsi fuori senza pietà. Dimenticare. Uscire dalla storia. Mi fa orrore chi si vanta del proprio curriculum: si capisce immediatamente che la musica è un pretesto. Che questa gente è in cerca di altro, di un certo tipo di attenzione, di un ruolo. La prova del nove? Ascoltate ciò che scrivono, la musica che producono: una corretta rimasticatura di tutti i cliché di questo mondo. Vigili urbani.

Prendo la sfera di cristallo e ve la appoggio sul tavolo: provate a guardare dentro, cosa bolle in pentola per i Fury’n’Grace per il 2012?

M: Vedo uno scarafaggio intento a dir messa. Di più non me la sento di rivelare.
C:  Il supporto di mostri più potenti.

Ultima domanda: cos’è il “Diabolism Of Conversation”?

M: L’espressione è presa dal Melmoth di Maturin. La comunicazione è stata al centro della nostra speculazione nel corso di tutta la fase di scrittura. Comunicazione fra esseri viventi; quella fra i morti. Quella fra i morti e i viventi. Un paio di eventi in particolare ci hanno costretti ad affrontare di petto la questione. Ci è sembrato opportuno segnalarlo nel titolo. Specialmente in un contesto artificiale come può essere un’intervista è ancor più lecito avere dubbi ed è sempre consigliabile diffidare di chi parla. Me compreso.

Siamo in chiusura, grazie del vostro tempo! Avete carta bianca per aggiungere quello che volete!

M: Date un’occhiata al racconto di Poe, Ombra. Due paginette straordinarie che sono state importantissime per mettere insieme questo disco.

Consiglio accettato!!