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Rainfall – Francesca Messali

In occasione dell’uscita del primo EP dei Rainfall, abbiamo avuto la possibilità di intervistare Francesca Messali, voce del gruppo che ci ha presentato il loro primo lavoro discografico “Fading Frames” e ci ha dato la possibilità di conoscere questo nuovo gruppo della scena musicale romana. Ecco cosa ne è uscito dalla nostra chiacchierata!

Ciao Francesca! Benvenuta su Heavyworlds.com. È un piacere per me intervistarti, essendo stati i Rainfall la prima band che ho recensito per la nostra webzine. Oltretutto, siete tutti giovani, italiani e per di più romani, come la sottoscritta. Prima di iniziare, vorrei chiederti: come stai? Vorresti introdurci brevemente una piccola descrizione della nascita della band? Come nascono i Rainfall?

Ciao Serena e ciao a tutti i lettori di HeavyWorlds, il piacere è tutto mio, sono molto felice di poter rispondere alla tua intervista e ti ringrazio a nome di tutta la band per esserti interessata alla nostra formazione e al nostro nuovo lavoro. Il nostro gruppo, così com’è attualmente composto, nasce nel 2008 sulle basi di un progetto fondato qualche anno prima da Emanuela e Matteo, entrambi chitarristi. Molto presto i Rainfall arricchiscono la formazione grazie alla partecipazione di Veronica al basso, Paolo alla batteria e Giorgio alle tastiere e dopo un primo periodo di produzione musicale esclusivamente strumentale, decidono di accogliere me alla voce dando vita a quello che è l’attuale progetto Rainfall.

Perché è stato scelto Rainfall come nome per la band? Cosa significa per te e per voi questo nome?

Per noi è diventata quasi una leggenda un po’ poetica e un po’ malinconica, legata alla fotografia di questo pomeriggio piovoso durante il quale Emanuela si sofferma ad osservare le gocce di pioggia che scivolano sul vetro e pensa che il nome più adatto per la nostra formazione non può che essere Rainfall. A detta di tutti noi ovviamente ha ragione!

“Fading Frames” è il titolo del vostro primo album, a cosa è dovuta tale scelta per il titolo e cosa potresti dirci dell’artwork, così essenziale ma suggestivo?

Personalmente sono molto legata a questo aspetto perché c’è stata una bellissima, costante e a volte un po’ faticosa collaborazione tra tutti noi nel cercare di trovare una sorta di iconografia che potesse rispecchiare almeno un pochino di ognuno e che nello stesso tempo potesse dipingere a grandi linee il nostro progetto comune. Emanuela ha curato la grafica del disco in stretta collaborazione con me e con gli altri, ogni pagina del booklet ha un significato simbolico ben preciso. Quasi tutte le foto per esempio sono state scattate da noi e sono lì per un motivo ben preciso. Non è stato facile riuscire a sintetizzare in maniera asciutta tutto quello che avevamo da dire, ma è proprio nella suggestione di questo continuum immaginativo così evocativo che risiede la chiave di lettura del nostro lavoro. In questo modo secondo noi l’idea grafica e quella musicale si fondono in maniera proporzionata. “Fading Frames” quindi è il titolo più adatto a rappresentare questo passaggio incrociato da un’immagine a un’altra, da un racconto a un altro, da un brano all’altro.

La prima impressione avuta ascoltando la prima traccia del vostro album è quella di una dimostrazione di grande carica musicale e emotiva, ma soprattutto di molta fantasia e voglia di sperimentare. Come mai avete deciso di inserire un’ intermezzo di flamenco in un brano così lontano da quel genere di musica?

Mi fa piacere che tu abbia notato quello che è un po’ l’intento di questo nostro attuale lavoro, sintetizzato in modo abbastanza preponderante da “The Eos Temple”. Questo è il brano che meglio descrive la nostra più recente svolta stilistica. Le nostre molteplici influenze qui si fondono veramente e danno vita a un brano molto ricco e fortemente allegorico. Ci piacerebbe poter diventare un giorno degli sperimentatori, quando si parla di questo argomento bisogna sempre stare un po’ “attenti” perché si rischia di finire su territori che non possono essere mai davvero descritti o spiegati. Per il momento cerchiamo di mettere ciò che siamo e sentiamo nella nostra musica e speriamo che questo tipo di lavoro possa far crescere noi che la nostra musica.

La traccia denominata “Gravity” sembra voler calmare il ritmo generale, possiamo definirla la ballad del disco?

Direi proprio di sì! Si tratta di un brano che non a caso si distacca un po’ dallo stile degli altri, è la quarta traccia dell’album, lo separa a metà. Scelta ovviamente non casuale perché ci conduce alla seconda parte del disco che per noi Rainfall può definirsi forse un po’ più “classica”. Gravity è un brano che si differenzia dagli altri ma che ci rappresenta con affetto, anche perché è stato arrangiato da uno dei più grandi musicisti con cui abbiamo avuto la fortuna di collaborare: Andrea Mattei, chitarrista eccezionale e sopraffino, nonché fonico che con tanta pazienza ha registrato e mixato il nostro lavoro.

Possiamo carpire molto della vostra bravura musicale solo dopo aver ascoltato il brano “Ruins Of Howling Winds”, una traccia strumentale, che risulta a tratti epica. Com’è nata l’idea per questa canzone? Vi siete ispirati a qualcosa in particolare o si era proposto qualcuno nella composizione del pezzo?

La composizione di questo brano nasce da una prima collaborazione sinergica tra Emanuela e Giorgio, arricchita poi dalla parte ritmica possente e imponente pensata da Paolo e da Veronica. Non a caso la sua posizione nella tracklist del disco è speculare rispetto a “The Eos Temple”, entrambe parlano di Grecia. Dopo aver ascoltato tutti insieme la linea di base del brano abbiamo subito capito che si trattava di qualcosa di particolarmente evocativo. È il vento che soffia tra le rovine di un campo sconfinato che sta per essere invaso dal clamore di un’imponente ed epica battaglia. A questa fanno riferimento le parole in greco recitate dal nostro caro amico Gianluca Balla, ma sta a voi indovinare di quale battaglia si tratta! (Ecco a voi il piccolo quiz dei Rainfall)

Vi è qualche gruppo che ha particolarmente influenzato il vostro lavoro?

In realtà davvero tantissimi e più passa il tempo più si allunga la lista. Il nostro sound cerca di amalgamare le influenze musicali di ciascuno di noi, ma esse sono diverse e sfaccettate. L’idea è quella di realizzare un sound moderno riconducibile al metal e intriso di spunti melodici. Ci piace arricchire il tutto con sonorità che ricordano il progressive nuovo e quello di un tempo, il thrash metal, l’hard rock, il death metal, l’elettronica. Persino la musica classica ci offre spunti sinfonici per arricchire i nostri brani. Anche l’incontro con band più o meno emergenti dell’underground metal ci ha influenzato molto. Insieme ad alcuni dei grandi nomi dell’Olimpo del metal, come Dream Theater, Nevermore, Katatonia, Opeth, Metallica, Him, Stratovarius (citiamo solo una minima parte), vi sono progetti meno conosciuti come Winter of Life, Juggernaut, Rosae Crucis, Stormlord, Silenzio e molti altri, che in questi anni hanno arricchito il nostro bagaglio grazie alla loro interessante ricerca musicale.

Con sette tracce avete fatto la vostra entrata trionfale nel mondo della musica, come ti senti? Quali sono le tue prime impressioni?

È stata una grande soddisfazione. Anche se non smettiamo mai di comporre nuovo materiale, desideravamo tanto rendere concreto il lavoro fatto fin’ora e ci sentiamo felici di poter proporre la nostra musica a quante più persone possibili. Anche se il vero rapporto con la musica di un gruppo lo si vive sempre dal vivo, ci fa piacere poter lasciare qualcosa di nostro a chi ci vorrà ascoltare e “Fading Frames” è il nostro biglietto da visita.

C’è una canzone o più canzoni alle quali ti senti maggiormente legata?

Tutte per me hanno un grande valore affettivo, ogni brano evoca immagini, racconti e significati legati a diversi momenti della nostra storia come gruppo musicale, a tutte le nostre esperienze e vicissitudini che nel quotidiano ci troviamo ad affrontare. Sotto il punto di vista musicale mi sento particolarmente legata a “The Eos Temple”, che fra tutti i nostri brani è il più metaforico. Dal punto di vista del significato invece forse mi sento più legata a “To The End”, perché mi fa soffermare su quanto possa essere diversa la percezione di una stessa persona o realtà se osservata da occhi diversi.

Interviste, recensioni in giro per il web e alcuni live qui e là, quanto e come è cambiata la tua vita?

Tutti noi membri del gruppo tentiamo al meglio di conciliare le nostre vite private e i nostri impegni lavorativi con questo progetto perché ce ne sentiamo parte integrante. Spesso è davvero molto difficile e a volte abbiamo anche pagato per la nostra inesperienza, soprattutto nell’underground romano dove è tanto difficile farsi strada. Continuiamo a fare il massimo per portare avanti il progetto in maniera degna, soprattutto ora che abbiamo un disco da presentare. Sinceramente devo ammettere che essere parte dei Rainfall ha un po’ cambiato alcuni aspetti della mia vita, ho dovuto imparare a organizzare ogni giorno della settimana in modo da non trascurare nulla, anche se purtroppo ogni tanto qualcosa mi sfugge necessariamente dalle mani.

Tu sei la main singer della band. Quale è stata la tua formazione culturale ed artistica? C’è stato qualcuno/a che ha influenzato il tuo stile e/o lo stile della band?

Sono anche la più “canuta” del gruppo, caratteristica che potrebbe fare di me la componente dalle più antiche reminiscenze musicali. Sinceramente gli anni ’70 e ’80 rappresentano per me la culla indiscussa della rivoluzione musicale mondiale. Penso sempre con tanto affetto all’idea che da bambina ascoltavo i Queen e i Pink Floyd e credevo che fossero band “comuni”, quelle che si ascoltano tutti i giorni insomma… beh sì, a quei tempi molte band “comuni” erano eccezionali, nel senso che l’offerta musicale media era davvero ricca anche nel quotidiano. In ogni caso la mia formazione musicale è intrisa di così tanti generi, voci e stili diversi che non saprei dire chi o cosa mi abbia influenzato di più, sono sempre stata molto curiosa in fatto di musica, non credo che smetterò mai di esserlo. Salto dal metal all’alternative, dalla new wave a funky jazz in maniera a volte così compulsava che ho paura di me stessa.

Quali sono state le maggiori influenze per il gruppo?

Lo stesso vale per quanto riguarda la mia presenza nel gruppo, soprattutto perché gli altri componenti non sono molto diversi da me in fatto di curiosità musicale. La presenza di una voce femminile in un gruppo metal di solito tende a dargli dei connotati un po’ stereotipati, almeno l’opinione diffusa dice questo. Ciononostante, ci siamo trovati bene a lavorare insieme, ci capiamo al volo e credo che il fatto che si collabori in modo cooperativo abbia dato la possibilità a ognuno di noi esprimere ciò che ha dentro, che poi è la cosa migliore che possiamo fare.

Cosa significa essere in una band?

Per chi ama la musica è quasi un privilegio. Per me è la realizzazione di un desiderio che mi porto dietro fin da piccolissima, ho sempre vissuto in mezzo alla musica e non vorrei mai smettere di farlo.

Cosa è per te la musica metal? Quali sensazioni ti trasmette cantare?

Il metal per me è un mondo sconfinato che si può osservare da tante angolature, ogni volta che ci si sposta se ne scopre uno scorcio nuovo. È un freddo oceano che ci offre uno spettacolo mozzafiato e ci lascia attoniti, ma allo stesso tempo è un inferno fatto di fuoco e fiamme nella cui eco gridiamo a squarciagola.

Come è stato lavorare a questo EP? Quanto sono durate, ad esempio, le registrazioni?

I giorni delle registrazioni sono stati alcuni dei migliori giorni del mio 2011! Registrare in studio mi incute sempre un po’ timore, ma sentire che le tracce piano piano prendono vita rappresenta una delle soddisfazioni più intense che si possano provare. Tra registrazione e missaggio siamo stati in studio per circa una ventina di giorni, abbiamo scelto di non usare campionamenti, tranne per un piccolo effetto in “Burning Rust”, abbiamo registrato tutto noi, dalle percussioni, alle urla, ai cori, persino i battiti di mani. Dal momento che ci siamo scoperti anche un po’ perfezionisti, c’è voluto qualche mese prima che il prodotto finale fosse completo, ma grazie al lavoro di registrazione e missaggio di Andrea Mattei e al mastering dello studio Pisi, abbiamo realizzato quello che volevamo.

Cosa puoi dirci della scrittura del materiale?

Come ho accennato prima, i nostri pezzi parlano sempre di qualcosa che ci sta intorno. Nel vecchio demo ci eravamo concentrati più sul filone empatico e parlavamo spesso del disagio diffuso con cui ci confrontiamo ogni giorno, ma con il passare del tempo e lo svilupparsi della nostra musica le liriche sono diventate molto più evocative e narrative. In questo disco si citano tematiche che viaggiano un po’ tra letteratura e cultura. Sono raccontati mondi reali o immaginari che rappresentano metaforicamente la realtà che ci circonda.

Hai mai preso parte alla stesura dei testi o della musica in sé?

Nel nostro vecchio demo c’è addirittura un brano scritto a quattro mani: “Ethereal”.
Attualmente di solito scrivo io i testi, in alcuni brani ci sono anche alcune parti scritte da Emanuela, che oltre ad essere la nostra mitica chitarrista, canta nei backvocals e nei cori delle nostre canzoni.

Ancora prima di registrare l’EP, come veniva suddiviso il lavoro all’interno del gruppo?

Da quando ci siamo formati abbiamo sempre adottato lo stesso metodo, salvo qualche piccola eccezione. Spesso si parte dalle parti di chitarra e si arricchisce il tutto gradualmente inserendo cambi, parti di altri strumenti e poi la voce. Di solito stendiamo la parte strumentale prima del testo perché è da questa che ci facciamo ispirare per le nostre liriche. Anche dopo la registrazione del disco abbiamo continuato a lavorare in questo modo, cercando quanto più possibile di comporre insieme perché i pezzi nati dalla sinergia che si crea in saletta ci hanno sempre dato i risultati migliori.

Come è nata l’idea di registrare un EP anziché un intero album?

Anche se ormai suoniamo insieme da diversi anni sentiamo di non possedere ancora un repertorio così vasto da poter produrre un cd con più canzoni. Questo EP racconta il nostro percorso, raccoglie i brani a cui ci sentiamo maggiormente legati, essi hanno una storia e sono concatenati tra loro, motivo per cui abbiamo sentito la necessità di presentarli assieme. Questo lavoro segna un’epoca e vogliamo proporvela mentre ci dirigiamo verso la prossima. Speriamo che questo EP ci possa far accumulare l’esperienza e la saggezza necessarie alla creazione di un futuro lavoro più completo.

Ora che il vostro EP è uscito, avete già qualche progetto per il futuro?

Tra i nostri primi obiettivi c’è quello di poter proporre live i nostri pezzi, magari anche spostandoci un po’ e collaborando con altre bands. Pensiamo che il rapporto dal vivo con il pubblico sia irrinunciabile e ci muoveremo su questa strada. Abbiamo già qualche nuovo brano da proporre, chissà come risponderà il pubblico!

Grazie mille per la splendida chiacchierata. Come è nelle buone abitudini di HW, avete l’occasione di dire qualcosa ai vostri fans…

Grazie a tutti voi per il supporto e grazie ai lettori di HeavyWorlds, speriamo di poterci incontrare live una di queste sere. Ascoltate il nostro lavoro e mi raccomando fateci sapere cosa ne pensate!