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BEJELIT – Studio Report

Se uscendo di casa vi guardaste in giro con fanciullesca curiosità, notereste come dei piccoli particolari sfuggono alla vostra attenzione. Se ascoltaste un disco dei Bejelit con accuratezza, vi accorgereste che le immagini nella vostra testa divengono via via più nitide ad ogni ascolto. Ho sempre pensato che alcune band posseggano una marcia in più, una qualità che le rende sempre un passo avanti rispetto al resto della scena. I Bejelit sono tutto questo; una band che da un triennio a questa parte ha ‘osato’ mettersi in gioco in modo deciso, che il tempo e l’esperienza ha forgiato donandole la facoltà di sperimentare ed esplorare senza tradire le proprie radici. Ecco perché la mia curiosità divampa mentre salgo le scale per entrare negli Old Ones Studios di Arona, dove trovo Sandro Capone, una delle asce della band, ad aspettarmi (più ansioso di me, a dirla tutta). Il tema del nostro incontro si chiama “Emerge” ed è il nuovo disco che vedremo nei negozi a marzo. Sandro riesce nella difficile impresa di presentarmi l’intero concetto delle lyrics senza cadere nell’autocelebrazione, anzi apparendo a tratti timido di fronte alla mia spudorata curiosità. Poche parole ma ben spese:

“Emerge è una sorta di risposta a “You Die And I…”, il nostro platter precedente: mentre questo aveva un inizio cupo, qualche momento solare e un finale nerissimo, dovuto al concept basato sulla morte nel modo più pessimista possibile, “Emerge” è un disco sempre oscuro e nero ma vi è la consapevolezza da parte del protagonista di voler ‘emergere’ dalla propria condizione negativa. Il titolo stesso è una parola sia in italiano che in inglese. Credo che vi sia molto di noi stessi e del nostro percorso in questi ultimi dischi…l’elemento dominante è l’acqua, visto che viviamo ad Arona sul Lago Maggiore (RIDE); i colori dell’artwork sono passati da verde a blue.”

Concluse le ‘presentazioni’, arriva la parte più interessante, ovvero l’ascolto dei quasi 70 minuti di musica che compongono l’album.

THE DARKEST HOUR

L’opener di “Emerge” è un viaggio nella schizofrenia: track serrata che rompe il fiato, con orchestrazioni ‘lunghe’ a riempire il lavoro delle chitarre. La voce varia la propria narrazione, a tratti effettandosi e imponendo la propria forza. La struttura del brano non è diretta come potrebbe sembrare, abbelita da un prezioso pianoforte e da un coro che esplode nelle orecchie.

C4

In un futuro post-apocalittico, il nostro mondo è nelle mani di strani esseri insettiformi. Un solo uomo è rimasto vivo, in un bunker, a corto di acqua e cibo! Che fare? Imbottito di C4 sale ai piani superiori e cerca di portare con se più esseri possibili! Come colonna sonora di questo film, i Bejelit sfornano una track con molto tiro, anticipata da un’intro orchestrale che spiazza l’ascoltatore. L’evoluzione del brano rimane più easy rispetto al precedente, ma un gran lavoro di ritmiche la fanno apparire come un piece che dal vivo farà vittime…

DON’T KNOW WHAT YOU NEED

La terza traccia entra nell’atmosfera ‘di coppia’, dove un uomo non riesce a capire cosa necessiti il/la partner da lui per essere felice; lo stile fa un passettino indietro e rimette la band su canoni più powereggianti, con tanto di riffoni e synth a farla da padrone e dove la voce può interpretare con maggior tristezza le proprie linee. Il finale diventa uno slow tempo, quasi ad esternare la sempre minor voglia da parte dell’uomo di concentrarsi sui bisogni dell’altra persona.

EMERGE

La titletrack, come esemplifica il titolo, è un inno al mai mollare e a lasciarsi le cose negative alle spalle in favore di un futuro ancora sconosciuto. E’ una delle song più ‘particolari’ specie se rapportata con la precedente nella tracklist! Dal riffone molto anni 90 di partenza, attraversiamo tempi velocissimi (la batteria sembra quasi una umppa finlandese), midtempos e un coro ‘da stadio’ che, pur essendo un po’ ruffianeggiante, rimane azzeccato; lo stacco con le chitarre acustiche lascia stupiti e dona ad “Emerge” il trofeo di track più ispirata fino a questo punto.

WE GOT  THE TRAGEDY

Track autobiografica che più non si può, come una risposta a chi ha dato troppo ‘fiato alle trombe’ alle spalle della band; la canzone più ‘standard’ di “Emerge” sino ad ora, con un intro di chitarra pulita, ritmiche cadenzate per la strofa, un bridgettone con tanto di doppia cassa e un coraccione in perfetto ‘speed-style’ che non tradisce le attese.

TO FORGET AND TO FORGIVE

Sempre autobiografica e intimista, parla dello spirito della band e di quello che si propone di fare per poter andare avanti. Dimenticare e perdonare. E’ la song che più si avvicina ad una ballad all’interno di questi 70 minuti, con una struttura intensa e fumosa e le tipiche esplosioni che una classica power ballad contiene; l’assolo, dal gusto molto retrò, è la ciliegina sulla torta.

DANCEROUS 

La notte prima della fine del mondo, che si fa? Una grande festa per concludere degnamente la propria vita (o esistenza). Con il suo incedere powereggiante e allegro, con tanto di assolo di fisarmonica e le armonizzazioni di violino, è il momento più frivolo dell’album. Grande strofa, bel coro onesto e impattante e un midtempo centrale che la rende più fluibile.

TRISKELION

La traduzione è ‘Sicilia’, in greco. Parla di chi deve abbandonare la propria terra senza la volontà di farlo. L’highlight di “Emerge” si contorna di tarantelle, tempi terzinati, ritmiche ostinate e di uno stacco piano/orchestra che va in contrapposizione con il resto della struttura. Difficile essere precisi nel descriverlo, le atmosfere sono in continuo subbuglio e anche il respiro corporeo tende a seguire i bpm della track.

FAIRYGATE

La track n°9 del disco parla della leggenda della ‘Porta Delle Fate’ aronese (cercatela, è molto bella). Una song caratterizzata da un midtempo sostenuto che presenta tastiere easy e una struttura più regolare e continua…un solo di chitarra molto melodico ci porta nella leggenda raccontata dalla voce di Fabio Privitera, mentre il resto della band riesce a restare ‘sotto’ per imprimere l’impatto vocale.

ARUNA’S GATEWAY

Prequel della storia raccontata nella track precedente. La velocità aumenta mentre la track si svolge serrata e cattiva, dando un presagio tutt’altro che positivo. Delle dodici track forse questa rimane un gradino sotto al restante livello, ma sempre impattante e decisa.

DEEP WATERS

11 minuti di suite per raccontare ‘cosa’ provò il primo conquistatore che si affacciò dalle colline sul Lago Maggiore; desiderio di far proprio tutta quella magnificenza. Da suite che si rispetti, è il brano con maggiore epicità contenuto all’interno del disco.Tra stacchi di piano, parti di chitarra acustiche, strofe epiche, violini, refrain dinamici, cori urlati e un sorprendente finale a base di pianoforte, la durata della song non influisce minimamente sulla resa, riuscendo ad essere uno degli episodi più ispirati del quintetto.

BOOGEYMAN

L’ultima traccia rappresenta un ritorno all’infanzia, con l’eterno dilemma di capire cosa sia reale e cosa fantasia. I Bejelit scelgono di chiudere con una traccia acustica, in cui l’interpretazione malinconica di Fabio Privitera sviscera l’incapacità di risolvere l’eterno dubbio sopra esposto. Una song singolare che si enuclea dal resto del disco, come a lasciare una porta aperta per il futuro.

Ho chiesto a Sandro di poter ascoltare l’intero platter al buio, illuminato solo dalla luce dello schermo del mio notebook e dalle sue parole esplicative riguardanti i testi delle song. Un disco che necessita più che mai di ascolti ripetuti e dilatati nel tempo; per il resto, aspettate la recensione.