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D.A.D. + guests

E’ ancora una volta la Rock’n’Roll Arena di Romagnano Sesia ad accogliere il Glam Attakk, giunto alla dodicesima edizione di una storia ormai piuttosto lunga e che ha permesso di anno in anno di apprezzare giganti della scena glam, accanto alle migliori realtà nostrane. Per questa edizione l’headliner rientra nel segmento glam solo in parte, perché se i D.A.D.  potevano, forzatamente, rientrare in questa categoria all’epoca dei masterpiece “No Fuel Left For The Pilgrims” e “Riskin’ It All” (e già bisognava lavorare di fantasia…), successivamente i nostri non hanno neanche sfiorato queste sonorità. Poco importa, i danesi sono quel che si dice un ensemble geniale pur nell’apparente semplicità delle loro musiche, estrose ma orecchiabili, divertite e divertenti quanto di spessore, se si pensa al rosario di classici sfornati negli anni. Sono tra i pochi ad essere sopravvissuti senza grandi scossoni quando tutto, nei loro 25 anni di carriera, attorno a loro è cambiato, mentre i quattro rimanevano ragazzi spensierati inclini allo scherzo e alla vita presa in leggerezza nonostante lo scorrere degli anni. Il contorno, si diceva, si annunciava di buon livello, su tutti i fondatori e tutt’oggi organizzatori del Glam Attakk, gli Hollywood Killerz, che possono guardare dall’alto in basso gli altri gruppi italiani per gli anni di militanza in una scena che, in Italia, hanno contribuito a creare.

Soprendono piacevolmente i Waste Pipes, combo del torinese autore finora di tre ep e un demo, in attività dal 2003 e finora a me totalmente ignoti. Non si presentano né suonano da tipica glam band sporca e lasciva, al contrario portano nelle loro song una pulizia esecutiva più vicina all’hard rock vero e proprio, da cui mutuano alcuni assoli e andamenti abbastanza articolati rispetto alla media del genere. Non temano però i puristi dello sleazy, l’anima stradaiola c’è eccome, rifulge in riff scattanti, in bilico tra Dangerous Toys e gli Extreme dell’esordio, per un connubio stilistico davvero riuscito, in cui le chitarre si ritagliano uno spazio non indifferente e le stesse ritmiche rifuggono da una eccessiva prevedibilità. La ciliegina sulla torta è rappresentata dall’ugola estesa e corposa di Chris, dotato della possanza dei singer dei seventies oltre che di quel tocco da seduttore dannato tipico del rock anni ’80. La fantasia compositiva non difetta ai ragazzi, che si destreggiano tra pezzi più d’impatto e altri dalle melodie molto in evidenza, per un’impressione complessiva decisamente positiva.

 

li H.A.R.E.M. ci vanno giù a testa bassa, rivelandosi meno raffinati di chi li ha preceduti e sfoderando quell’attitudine lazzarona, zozza e rumorosa che tutti i presenti stavano aspettando. Sale l’attenzione dei duri e puri del glam, per uno show che magari peccherà un poco di varietà, ma che risulta tremendamente ficcante per il tiro di ogni brano. Poche finezze, e molta, molta sostanza per l’esibizione dei quattro, guidati dalle vocals aspre di Freddy Delirio, noto per essere stato tastierista dei Death SS in alcune delle loro incarnazioni, in particolare nel ritorno alle origini dell’ultimo periodo prima dello scioglimento. Gli H.A.R.E.M. ci gettano in pasto un  perfetto ricettacolo di quello che il rock dovrebbe essere: sanguigno, viscerale, catchy ma tremendamente graffiante e da cantare a gran voce, col solo desiderio di fare ancora più casino di chi c’è sul palco. I pezzi arrivano addosso facili facili e belli duri, compatti, di pasta grossa ma nient’affatto grossolani. Impatto e frenesia, oltre che gran capacità di coinvolgimento, caratterizzano l’infuocata performance della band, che lascia decisamente soddisfatti i convenuti, nel frattempo leggermente aumentati e fattisi adeguatamente partecipi dello spettacolo offerto.

E ora i creatori dell’evento, gli immarcescibili Hollywood Killerz, colonna portante del genere glam/punk/rock’n’roll in una terra come la nostra, mai eccessivamente ricettiva per un certo tipo di musica, che invece i ragazzi hanno saputo mantenere viva e hanno portato in giro con orgoglio fino ad oggi. Il gruppo si presenta in grande spolvero a questo appuntamento, con chitarre affilate e la consueta indole punk ad alzare immediatamente il tiro. Graffia alla grande l’ugola al vetriolo di Harry, prodigo di parole tra una canzone e l’altra, parole spese per ricordare il lungo viaggio compiuto in questi anni dalla sua creatura e per presentare adeguatamene le song più significative. Il pubblico, ora decisamente folto, segue con grande interesse un concerto baciato, oltre che da una performance ineccepibile dei musicisti, da grandi suoni e da una durata abbastanza considerevole, che ha permesso di esplorare al meglio la discografia, invero non vastissima, dell’act torinese. I principi del rock di strada sono onorati al meglio da una formazione viscerale e grintosissima, che riesce a mettere il suo tocco personale su un impasto sonoro masticato da mille e più band ora come in passato, ma che sottoposto al trattamento di veri rockers come gli Hollywood Killerz non suona mai stantio e poco interessante. Crudezza e sincerità, amore per la propria musica e dedizione assoluta vengono trasmesse dal palco, habitat ideale per chi il successo non lo vedrà mai neanche col binocolo ma è disposto a dare il miller per mille per la propria musica. E per chi non ha ancora avuto il piacere di conoscerli, non guasterebbe un ascolto alla loro ultima fatica “Dead On Arrival”, album pubblicato a fine 2010.

Un’attesa non molto lunga, spesa nel curiosare tra il banco dei cd e ad osservare l’operato dei roadies sul palco, introduce ai cartoni animati danesi, che si annunciano con la nuova “A New Age Moving In”, che seppure non ancora conosciutissima come i vecchi cavalli di battaglia inizia a scuotere un’audience molto ricettiva già nelle prime battute. E’ già il tempo delle ovazioni con la seguente “Jihad”, con quel giro di basso che ti catapulta in piena Arizona, il coro irresistibile a spadroneggiare, Pedersen che si muove felino e felpato per il palco. Quando l’aria è già elettrica, ecco il patatrac: salta l’impianto, dopo qualche attimo di smarrimento si capisce che bisogna fermarsi e capire dov’è il problema, prima di ricominciare lo show. Caso vuole che la stessa cosa fosse successa anche nel 2009 al Music Drome, appena dopo la seconda canzone come in questo caso. Allora il concerto era ripreso regolarmente, lo stesso accade stavolta. La band, nel frattempo risalita in camerino, ripiomba on-stage e riparte da dove si era fermata, riattaccando con un altro brano tratto da “DIC.NII.LAN.DAFT.ERD.ARK”, “The End”. Viene concesso molto spazio alle nuove composizioni, tra le quali spiccano “I Want What She’s Got”, di cui consiglio di visionare l’esilarante video coi nostri vestiti da donna, e la ballad, con tanto di piano, “We All Fall Down”. L’acustica del locale e un fonico che, in tutte le occasioni in cui sono stato al Rock’n’Roll, non ne ha mai sbagliata una, aiutano ad apprezzare le piccole-grandi sfumature dei patterns di batteria e delle ritmiche di chitarra, oltre al gran gusto negli assoli di Jacob Binzer, apparentemente più imperturbabile del fratello cantante e chitarrista ritmico. La forma vocale di quella sagoma umana di Jesper Binzer è in questa sede ottimale, l’ironica sguaiatezza del timbro, accentuatasi negli anni, non teme confronti con le versioni in studio; le pose alla Gatto Silvestro, quando non sta suonando, sono un altro marchio di fabbrica inconfondibile, e accrescono la simpatia per un personaggio che riesce ad essere divertente senza doversi neanche impegnare troppo. A differenza di quei frontman piacioni che si arruffianano il pubblico con  vecchi trucchi del mestiere, il singer/chitarrista dei D.A.D., e i suoi compari a ruota, trasuda un buonumore genuino e coinvolgente. Ecco allora che non stancano i cosiddetti “esperimenta” coi quali fa cantare a ripetizione il pubblico, sia quando c’è da intonare fino allo sgolamento i chorus dei pezzi più acclamati, che in occasione dell’omaggio scherzoso al batterista Laust Sonne. Al solito clamorosi i bassi di Stig Pedersen, che al di là di un suono unico nell’intero panorama hard rock, assumono le forme più svariate, dal missile spaziale alla chitarra dalle proporzioni invertite fra paletta e corpo, a quelli trasparenti con colorate luci al neon. Non mancano i momenti da jam session, con una super allungata “Monster Philosophy” a cui farà seguito nell’encore un’entusiasmante versione monstre di “Sleeping My Day Away”. Tra le song più acclamate della lunga scaletta proposta, spiccano il classicone generazionale “Grow Or Pay” e una delle loro canzoni più desertiche, “Point Of View”. La canzone della buonanotte è ovviamente “It’s After Dark”, con la quale i D.A.D. ci dicono addio e arrivederci alla prossima nottata di bagordi in quel di Disneyland, quando il parco chiude e comincia il vero divertimento.