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Live Report – Wacken Open Air 2016


Wacken Open Air non ha bisogno di presentazioni. Come ogni anno verso l’inizio di agosto arriva, scarica tutta la sua energia in tre giorni di heavy metal concentrato e lascia il segno. E così è stato per questa ventisettesima edizione. Heavyworlds è alla decima partecipazione al festival metal più importante del mondo ed è facile notare come in questi anni molto è stato modificato, migliorato e ottimizzato per mantenere il livello del festival ai massimi indici. Quest’anno, come spesso accade, la variabilità climatica ha fatto da protagonista con oscillazioni tra il sole splendente e scrosci di pioggia di una certa entità che non hanno fatto mancare all’appello il classico terreno fangoso in ogni dove. Fortunatamente il peggio si è scaricato nelle varie mattinate evitando il fastidio dei concerti sotto gli acquazzoni ai quali il pubblico è oramai quasi rassegnato.

Logisticamente ci son state molte novità. Visti gli eventi recenti i controlli di sicurezza sono stati ampliati ed inoltre è stato messo il divieto all’ingresso con borse e zaini. Il beer garden è stato completamente traslato a fianco del party stage mentre mancava all’appello il famoso tendone del Metal Market.

 

Giovedì

Il primo giorno ufficiale di Wacken è forse uno dei più attesi. Il True Stage, uno dei due palchi principali, è completamente riservato agli Iron Maiden e quindi sotto lavori in corso per tutta la giornata.

Come inizio giornata puntiamo ai Tidal Dreams, gruppo power metal Greco in gara per la Metal Battle, contest che coinvolge band emergenti di tutto il mondo. Un concerto carico di energia sin dalle prime battute regala ai presenti dell’ottimo power metal con un cantante decisamente notevole sul comparto potenza ed acuti. Purtroppo come per gli altri partecipanti la setlist è limitata con soli 20 minuti a disposizione. Decisamente da tenere d’occhio.

Nel pomeriggio è compito dei Saxon scaldare gli animi dei presenti con il loro classico heavy metal ottantiano. Tralasciando un piccolo problema tecnico sulle note di Power and the Glory, gli inglesi offrono una performance solida e dinamica, pescando tra la discografia più o meno recente. Così, alle immancabili Crusader, 747 e Princess of the Night, si affiancano canzoni come Sacrifice o Dogs of War.

Seguono i Foreigner, per la gioia dei rocker più nostalgici; anch’essi bravi nel pescare dal repertorio più conosciuto, estraggono dal cilindro delle autentiche perle vintage: su tutte, Urgent, la conclusiva Hot Blooded e, per i cuori più teneri, I Want to Know What Love is. I Foreigner sembrano notevolmente in forma e perfettamente a loro agio sul palco di Wacken: giocano più volte a far cantare il pubblico, offrono dei suoni perfetti e dei pregevoli assoli di chitarra e saxofono.

Poco dopo, quasi contemporaneamente ai Whitesnake, sul Wet Stage è la volta dei Marduk. Il gruppo svedese ha un palco limitato ma una setlist corposa: si parte con Frontschwein, per continuare alternando i blast beat feroci di canzoni come Of Hells Fire con brani più cupi e cadenzati, fra cui la maligna The Blond Beast. Chiudono lo show con la consueta Panzer Division Marduk, per la gioia dei metallari più estremi.

L’attesa giunge al termine e sul True Stage ecco apparire gli Iron Maiden. Alla loro terza apparizione a Wacken il pubblico è tutto per loro con la folla che si estende oltre l’area concerti. La setlist è molto focalizzata sull’ultimo disco The Book of Souls con una scelta di pezzi azzeccatissima tra cui If Eternity Should Fail in apertura, Speed of Light, Tears of a Clown ed ovviamente The Book of Souls. La performance è buona ma purtroppo non delle migliori viste dai Maiden. Dickinson arranca un po’ anche per via di problemi di carattere tecnico al microfono. Nonostante tutto una performance di tutto rispetto visti anche i precedenti di salute.

Le due ore di concerto sono ovviamente fitte di classici immancabili quali The Trooper, Hallowed be thy Name e Fear of the Dark.

La chiusura concerto è affidata a The Number of the Beast, Blood Brothers e Wasted Years seguita dagli auguri per i 58 anni di Dickinson. Un bello show, 100 di questi giorni!

Venerdì

Il risveglio del venerdì sotto una pioggia scrosciante è fortunatamente alleviato dalle band che ci attendono nel corso della giornata, tra le più piene di questa edizione.

Gli Equilibrium vengono accolti al Party stage da una folla decisamente inaspettata regalando un concerto molto valido all’insegna del loro folk teutonico che fa scatenare varie danze miste a pogo tra il pubblico. I suoni non sono dei migliori, soventi infastiditi da quelli provenienti dal black stage, ma ciò non impedisce di portare a casa uno show di livello e divertente.

Sotto l’ala folk anche l’ottima esibizione degli Eluvetie che si esibiscono sul Black Stage dimostrando alla grande di esserselo meritato e di aver fatto molta strada come artisti in questi anni.

Ad orario di cena gli israeliani Orphaned Land regalano al pubblico sotto il tendone dell’headbanger/wet stage un concerto grandioso e carico di energia. Accompagnati da una danzatrice del ventre e dalla cantante degli Scardust per i cori (anch’essi israeliani), Kobi coinvolge benissimo il pubblico e regala una performance di altissimo livello con i pezzi forte del loro repertorio. Davvero notevoli.

In concomitanza con l’uscita del suo nuovo album, The Shadow Self, è il turno anche di Tarjia. Un concerto da parte sua tecnicamente ottimo (difficile aspettarsi altrimenti) che coinvolge anche pezzi dal suo ultimo lavoro che però non sembrano convincere molto in sede live.

I big della giornata sono gli abitué del festival Blind Guardian. Ovviamente anche in questa edizione la folla che li attende è vastissima e fortunatamente non deludono le aspettative. Hansi è decisamente in forma rispetto a show passati con un esecuzione convincente. Lo show è un mix ben bilanciato fra pezzi dell’ultimo disco (The Ninth Wave) alternata a pezzi più datati e a vecchie glorie intramontabili come Nightfall In Middle Earth (uno dei pochi pezzi non proprio riusciti fino in fondo), Fly e l’immancabile The Bard’s Song. La conclusione affidata a Valhalla chiude un ottimo show, uno dei migliori per i bardi da qualche tempo.

Sabato

La pioggia mattutina che quest’anno sta inaugurando ogni giorno del festival non si è fatta mancare nemmeno all’ultimo giorno. Come per i giorni passati anche oggi però il clima una volta avviati i concerti è stato clemente e subito dopo pranzo il sole ha cominciato a splendere su tutta la Holy Land così da lasciare spazio alle band nella giornata di chiusura.

Primo gruppo a esibirsi sul True Stage sono i Dragonforce, con una prestazione notevole. I chitarristi finalmente suonano anche dal vivo a livelli molto alti, e Marc Hudson è vocalmente perfetto, soprattutto dal punto di vista dell’estensione. Il power metal dei nostri viene apprezzato dal pubblico presente, nonostante sia mezzogiorno.

È quindi il turno dei Symphony X che non si smentiscono e scatenano una performance di gran livello. Russell Allen non sbaglia un colpo e Michael Romeo non delude sprigionando grandissima energia. Il più della scaletta è riservata all’ultimo disco Underworld, con brani quali Without You ed In my Darkest Hour, molto d’effetto in sede live. Un grande show.

Concluso il set degli americani, è il turno dei Borknagar, che aprono con The Rhymes of the Mountain ed Epochalypse uno show potente ed evocativo, anche se alle tre di un piuttosto assolato pomeriggio.

Seguono Metal Church prima, e Therion poi: questi ultimi si presentano con l’ottima triade di cantanti, creando uno show come al solito molto teatrale e di impatto visivo, che coinvolge i presenti soprattutto con Invocation of Naamah, Son of the Staves of Time e Wine of Aluqah, durante la quale fa la sua comparsa una danzatrice del ventre.

Prima del gran show di questa sera come non assistere ai nostri connazionali Elvenking al Wackinger Stage? Un palco più azzeccato non poteva esserci per sfoderare l’atmosfera folk di Moris e soci. Il pubblico è numeroso ed il concerto divertente e coinvolgente. Ottimo lavoro!

E alla fine ecco arrivare il gran concerto della giornata. Sulle note dell’introduzione affidata a It’s a Long Way to the Top si dà il via al concerto dei Twisted Sister, ultimo in Germania prima del ritiro. Dee Snider su quest’ultimo punto si sofferma più volte confermando l’intenzione della band di voler abbandonare la scena senza troppi fronzoli come altri loro colleghi (Kiss, Scorpions ecc ecc). E come ultimo show in terra tedesca non ci si poteva aspettare di meglio. Dee è una pallina da ping pong impazzita, salta per il palco, gioca con il pubblico a più riprese durante gli intermezzi e l’esibizione. We’re not Gonna Take It ed I Wanna Rock vengono quasi ripetute all’infinito con il pubblico che sembrava non stancarsi mai di cantare. Parte dei discorsi di Dee ed il resto della band sono anche incentrati sulle glorie del metal che non sono più tra noi quali A.J., Lemmy e Jimmy Bain. Un grande addio, uno di quei concerti puri e senza orpelli scenografici che vorresti procedesse per altre due ore senza mai staccare gli occhi e le orecchie dal palco.
Dopo i Twisted l’atmosfera vira verso il death femminile degli Arch Enemy, con una Alissa in gran forma. Non le si può negare il fatto di essere un animale da palco, si nota infatti quanto sia oramai a suo agio con l’intera formazione ed i grandi palchi. Il concerto è molto buono e colpisce duro e rapido i presenti. Dalla serata sarà estratto un DVD live e, da quanto visto, si prospetta un prodotto di gran valore.

Chiude di fatto questo Wacken 2016 il tributo a Ronnie James Dio da parte dei Dio Disciples e del talentuoso Tim Ripper Owens, durante la quale viene proiettato un ologramma di Ronnie, per la gioia e commozione dei presenti.

E così tra sole, pioggia e grandi show anche il Wacken Open Air di quest’anno è giunto al termine. Edizione carica fino alla fine che ha dato poche occasioni di respiro ai presenti. L’edizione del 2017 è stata come prevedibile già annunciata con nomi quali Avantasia, Amon Amarth e Kreator. Heavyworlds non potrà mancare, rain or shine!