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Luca Turilli’s Rhapsody, Freedom Call, Orden Ogan, Vexillum

Luca Turilli, un nome, una garanzia. Un richiamo irresistibile per tutti gli amanti del symphonic power all’italiana. Allora dov’è la fila chilometrica alle porte dell’Estragon? Per un evento di questo calibro ci si aspettano code infinite e folle scalpitanti, e invece nulla più che un gruppetto di adolescenti brufolosi attende impazientemente di entrare, forse più per il freddo che per assistere allo show. A fine serata però una folla immensa e delirante sovvertirà ogni pronostico negativo, confermando che uno show di alto livello non può non ricevere una grande risposta, vedere per godere e credere.

VEXILLUM

Tocca ai nostrani Vexillum fare gli onori di casa. Avevamo già visto Dario Vallesi e soci affiancare i Rhapsody of Fire nel 2011, le aspettative sono alte e non vengono deluse. Come il pifferaio di Hamelin (paragone inevitabile data la caratteristica connotazione folk della band), il giovane frontman in kilt incanta il pubblico grazie a un’eccellente combinazione di presenza scenica, spontaneità e abilità vocale. I brani tratti dal nuovo album, “The Bivouac”, hanno una buona presa  ma è forse con “Avalon”, che può essere facilmente considerato il marchio di fabbrica della band toscana, che i presenti rispondono con vera foga. Energici ed entusiasti, fiori all’occhiello del vivaio nazionale, i Vexillum danno una magnifica prova di sé anche con questa breve esibizione e il pubblico li saluta a malincuore, preparandosi ad accogliere gli Orden Ogan.

ORDEN OGAN

Con gli Orden Ogan si abbandonano le gaie atmosfere folk per un sound più aggressivo. La band si presenta sul palco sfoggiando un look alla Mad Max, con tanto di spalline fatte di copertone, portando con sé i riff martellanti e i cori altisonanti tipici del power teutonico. Sebastian Levermann, voce e chitarra, redarguisce scherzosamente il pubblico, ancora non particolarmente numeroso, incitandolo ad essere più partecipe ed attivo. I rimproveri funzionano, la platea si sveglia e comincia a rispondere, specialmente con “The Things We Believe In”, durante la quale vediamo i presenti cantare il ritornello a squarciagola. La proposta musicale della band, imponenente, guerresca e di grande respiro epico pur conservando una solida base melodica, conquista gli astanti, costantemente stimolati dal sagace frontman, che li invita ad inviare alla band i loro filmati allo scopo di montarli per farne un videoclip. L’eccellente prestazione degli Orden Ogan attira l’attenzione di molti, ragion per cui è una folla nutrita quella che attende i loro compatrioti, i Freedom Call.

FREEDOM CALL

Di ritorno a Bologna dopo dodici anni di assenza, i Freedom Call riportano all’Estragon la loro proverbiale energia contagiando il pubblico, che finalmente risponde con calore ed entusiasmo. Dai  toni ardimentosi dei loro predecessori si passa ad un’altra faccia del power, quel famoso happy metal di cui i Freedom Call sono i più noti rappresentanti. Dieci e lode a Chris Bay, allegro, sardonico e goliardico, capace di tenere in pugno la folla sfoggiando un sorriso a trentadue denti. Il pubblico apprezza il suo italiano stentato, le sue provocazioni e le sue pose, i tre quarti d’ora a  disposizione della band scorrono velocemente tra una battuta e l’altra. La scaletta è frutto della combinazione di estratti dall’ultimo album, “Land of the Crimson Dawn”, e brani blasonati come “The Quest”, accontentando i fan di lungo corso e chi per la prima volta si avvicina alla loro proposta musicale. Il calore della folla è tale da far passare i Freedom Call per i protagonisti della serata, ma si sa, il dolce è sempre in fondo. Il pubblico freme e conta i secondi  che mancano all’entrata in scena dei Luca Turilli’s Rhapsody.

LUCA TURILLI’S RHAPSODY

Quando le etoiles della serata fanno il loro ingresso l’Estragon sembra esplodere. Una complessa cinematica e una danzatrice accompagnano l’esibizione dei Luca Turilli’s Rhapsody, dedicata al grande assente Dominique Leurquin, vittima di un grave infortunio alla mano sinistra e sostituito da parti registrate, scelta opinabile secondo il parere dei più. Alessandro Conti, voce dei Trick or Treat, supera brillantemente lo spietato esame degli accaniti seguaci di Fabio Lione, sorprendendo tutti con le sue eccezionali doti vocali e interpretando magistralmente anche classici come “Dawn of Victory”. L’ accostamento della voce di Conti a quella della graziosa cantante tedesca Sassy Bernert è prodigiosa nei duetti “Forest of Unicorns”, “Warrior’s Pride” e “Tormento e Passione”. È notevole la cura dei particolari: gli assoli di basso e batteria vengono sfruttati per i cambi scenografici, tutto è  perfetto, in ogni momento (o quasi, visto che il vocalist ha rischiato un volo dal palco). Nei due bis vengono proposte anche “Dark Fate of Atlantis”, primo singolo estratto da “Ascending to Infinity”, e “Emerald Sword” per la gioia dei più nostalgici. Il paragone con chi li ha preceduti sul palco è spontaneo: non ci si ricorderà di certo della performance di Turilli e soci per la loro interazione col pubblico ma nulla toglie loro il merito di aver regalato a Bologna una serata piena d’incanto, magia e mistero.