
Quando ci si accinge a scrivere il report di questo tipo di eventi, che si sia giornalisti professionisti o a tempo perso, credo ci si debba sempre fermare un secondo a riflettere su questi sei giorni.
Dal momento in cui si mette piede a Tolmin, città in cui si svolge il festival, ci si immerge dalla testa ai piedi del metal life style, fatto di birra, risate, musica e…quest’anno di fango.
Fango perché pareva di stare a Woodstock, è piovuto tutti i giorni per un bel po’ di tempo, a partire dal minuto in cui ci siamo approntati a buttare giù la tenda fino al momento in cui finalmente ho rimesso piede nella macchina di mio padre per tornare a casa. È stato un vero delirio fangoso.
Ma veniamo al festival di per sé.
Il Metal Camp è ormai giunto alla sesta edizione, e l’organizzazione sa come comportarsi. Di fatti se c’è qualcosa di cui lamentarsi, non sono le infrastrutture messe a disposizione degli avventori. Cibo sempre pronto, bagni chimici relativamente puliti ad ogni angolo che ogni giorno, a volte più volte al giorno, venivano svuotati e sterilizzati, bevande fresche, i due palchi praticamente in funzione dal primo pomeriggio fino a notte inoltrata e se proprio non vi va di vedere le band, la spiaggia ha a disposizione un bar ben fornito con tanto di musica a tutto volume.
Altra nota di merito va alla security, sempre cordiale ma decisa con i numerosi crowd surfer che alle volte causavano qualche problemino. Forse l’unica nota di demerito va al fatto che il 90% delle conferenze stampa è stato annullato, e che l’equip di più di una band è andato perso o è arrivato in ritardo, causando un bel po’ di problemi e rivoluzioni di running order, ma sono inconvenienti dipesi più che altro da fattori esterni.
E amen, vedere i Satyricon o i Dimmu Borgir alle 2 di notte non è un grosso sacrificio, vorrà dire che la mattina dopo si fa colazione con goulash e birra!
Riguardo alle band, direi che la bill era sicuramente molto interessante, e quest’anno raccoglieva quattro delle migliori band thrash metal della storia, tra cui i tre fondatori del thrash teutonico, tutti spalmati sui 5 giorni di musica in maniera piuttosto sapiente. Non mancano certamente nomi più mainstream, tanto che i primi nomi sul cartellone sono arcinoti a quasi tutti i metallari del mondo. Nightwish, Blind Guardian, Dimmu Borgir, Lamb Of God e tutti gli altri.
Spiccano anche nomi di band emergenti e underground, soprattutto sul palco piccolo, come gli opener del main stage, gli svizzeri Dreamshade, che per essere così giovani sanno veramente il fatto loro.
Anche gli ancor più giovani Hackeneyed, se piace il genere, hanno fatto un ottimo show.
Il divertimento vero e proprio nasce con i pirati scozzesi Alestorm, che sfornano un “pirate metal” divertente, non particolarmente articolato, ma che dopo il grande successo dello scorso anno sul second stage, quest’anno vengono promossi al main, e suonano durante uno dei numerosi diluvi universali che si sono susseguiti nel corso del festival. Il mosh pit diventa una piccola palude in cui numerosi si buttano e ne emergono coperti di fango da capo a piedi. Uno degli show più divertenti del festival.
Tocca ora ai norvegesi Keep Of Kalessin. Avevo già avuto modo di vederli opener del FullOfHate fest a Marzo, ma qua ragazzi, con un’ora a disposizione, hanno veramente aperto il mondo. Il loro black che sconfina nell’epic apre veramente il mondo. Suggestivi e violenti allo stesso tempo, sono da ammirare per la loro perizia tecnica sul palco. Eccellenti.
La pioggia si placa un po’ e salgono sul palco i thrasher Death Angel. Anche qua c’è poco da dire, show superbo, violento, cattivo. Ottimi sia sul palco che fuori.
Turno dei canadesi Kataklysm. È una di quelle band che ami o odi. Io la adoro. Da CD sono pazzeschi, live sono una vera e propria esplosione di cattiveria. Iacono fa un po’ la primadonna, ma lo show è godibile, ben suonato, suoni ottimi (cosa che nei festival italiani ci si sogna) e tenuta straordinaria. Mi domando perché piazzare una band così violenta prima dei ben più calmi Nightwish, però l’accoppiata funziona. Insomma, anche se i finlandesi sono notoriamente più melodici e definiti “commerciali”, e anche se l’orario è inclemente perché finire di suonare alle 2 di notte non è semplice, e soprattutto suonare sotto la pioggia è veramente uno schifo, i cinque se la cavano discretamente, Marco un po’ giù di voce ma, pazienza.
I fuochi d’artificio rendono la vita difficile ai fotografi ma con il contrasto della pioggia danno un tocco in più. Scaletta ridotta ma…in fin dei conti ai festival bisogna sempre tagliare da qualche parte.
E fu metal e mattina, primo giorno.
Svegliarsi è stato un incubo. La prima notte in tenda ti uccide, soprattutto se mentre dormi il cuscino gonfiabile decide di sgonfiarti e devi ricorrere allo zaino. Abbondante colazione e giù alla spiaggia a cercare un po’ di refrigerio dal caldo di quella mattina. Beh, non dura molto. Ricomincia a piovere, e per questo mi perdo gli Attica Rage. Peccato.
Passiamo direttamente agli austriaci Hollenthon. Non male, peccato per il fatto che suonano poco e che devono costantemente ricorrere ai cori preregistrati, data la grossa presenza di orchestrazioni.
Una corsa rapidissima alla conferenza stampa dei Blind Guardian (nuovo album a luglio 2010 circa e probabilmente si riprenderà a mano il progetto Demons And Wizards) e ritorno tra la folla per i tedeschi Suidakra. È a loro che tocca l’incombenza del primo wall of death che si trasforma più che altro in una grande danza celtica collettiva. Divertimento totale insomma.
Dal folk al thrash, tocca ai Sodom, che a causa di problemi di aerei suonano con equip non propri, la chitarra fischia, gli ampli si sovraccaricano e sì, c’è stato qualche problemino tecnico, che però non mina la riuscita di uno show incalzate e spudoratamente cattivissimo. Una Remember The Fallen eseguita alla perfezione e dedicata al presidente degli USA mi mette i brivido.
In teoria toccherebbe ai Satyricon, ma a causa di problemi tecnici vengono spostati alle 2 di notte. Si passa direttamente ai Testament. Non ho nulla da dichiarare su di loro. Se volete capire cosa si prova ad un loro concerto, andate a vederveli. Incredibile è l’unico aggettivo che mi viene in mente.
Dai Testament ai Blind Guardian il passo è lungo. Però si fa. Hansi un po’ giù di voce ma, beh lo spettacolo dei Blind Guardian è sicuramente godibile anche in questo modo. Peccato l’inserimento in scaletta di Turn The Page che live proprio non rende.
Invece ottima Blood Tears. Veramente bella. Mi domando come mai non abbia lasciato cantare il pubblico come fa di solito su The Bard’s Song, ma forse perché non sapeva se il pubblico avrebbe risposto, contando che lì in mezzo c’era di tutto. Però io sentivo, e vi assicuro che la gente cantava e smaniava per i Bardi tedeschi, anche perché sono convinta che i Blind Guardian siano un passo quasi obbligato per i metaller della mia generazione. Che poi piacciano o meno è un altro discorso, ma è raro trovare un metallaro attorno ai 20 anni che non conosca almeno The Bard’s Song.
Teoricamente ci sarebbero stati anche Belphegor e Satyricon, ma ero veramente esausta e congelata dalla pioggia. Le voci dicono che i primi siano stati macchine da guerra e i secondi un po’ troppo sotto tono, però non posso dire altro. Non c’ero!
E fu metallo e alcolici, secondo giorno.
Di nuovo sveglia. Improvvisamente sento il disperato bisogno del mio lettino, di una ciotola di insalata, di un caffè decente e di un cuscino che non respiri e soprattutto non russi durante la notte.
Colazione, spiaggia, pranzo e…pioggia, di nuovo. Spettacolo sul main stage ritardato di un’ora, allora mi guardo i mantovani Rude Forefathers sul palco piccolo. Bravi, molto bravi. Complimenti, veramente.
Passo al palco principale. Gli Hatred mi fanno venir voglia di tornare in tenda a dormire. Che noia veramente!
L’unico show deludente a cui ho assistito. Almeno c’era Gaio dei Disease Illusion che ci teneva compagnia!
Tocca ai nostrani Graveworm, freschi freschi di pubblicazione del nuovo album, e in circa 45 minuti fanno un buono show, rovinato forse solamente dal fatto che c’era poca gente. Beh, rispetto ad altre band c’era poca gente, era comunque molta di più di quella che avrebbero raccolto in Italia. Bello, evocativo, ben suonato. I Graveworm si dimostrano sempre all’altezza della situazione.
È l’ora dei giovanilistici metalcore Sonic Syndicate. E non ho la più pallida idea di come abbiano avuto la voglia di inserirli in scaletta.
Non c’entravano niente. Già non li amavo prima, live sono sterili e noiosi, i cantanti steccano in continuazione e proprio no, non ci siamo. Contento chi c’era. Io sono andata a cenare.
Finalmente si ritorna il riga con i thrasher olandesi Legion Of The Damned. Anche questi già visti a Bologna, ma qua sono stati cento volte meglio. Wall of death anche qua, distruttivo è dire poco.
Potenti e massacranti, sono tra i più cattivi del festival.
Veramente un ottimo show, ben fatto e molto convincente. Premio per il maggior chilometraggio dei capelli.
Tempo venti minuti durante i quali veniamo informati dal fonico che “i biscotti sono delizosi” ecco che appaiono i Lamb Of God. Da cd lo ammetto non mi piacciono, ma sul palco c’è da ricredersi.
Veramente ottimi, energici, tengono il palco in maniera splendida. Uno spettacolo.
Ricomincia a piovere. E dannazione lo fa proprio sullo show che attendevo di più. Gli Amon Amarth devono farsi tutta l’esibizione, o quasi, sotto una pioggia battente. Fotografare diventa pressocchè impossbile, ma bene o male qualcosa tiro fuori.
C’è da dire che un po’ di difficoltà non ferma i vichinghi svedesi che macinano le ossa anche solo ad ascoltarli. I fuochi d’artificio poi sono veramente quel che ci vuole per il tipo di show così dinamico che Hoegg ci tira fuori. A marzo erano stati bravi, stavolta di più. Ed è strano perché suonare nei festival è più difficile.
Teoricamente ci sarebbero dovuti essere i Dimmu Borgir, ma sono stati spostati a dopo gli industrial metallers Deathstars. Ok, di industrial mi piace poca roba, quindi non ho così fretta di vederli.
Oltretutto fa freddo, e pure parecchio.
Ne approfittiamo per un idromele al chioschetto nell’area shopping poi con calma prendiamo un posto per vederli. Era tardi ok, il genere non mi piace molto ma…qua veramente non riuscivo a capire dove iniziava una canzone e dove finiva un’altra. Un’ora di noia totale. Ero talmente annoiata che mi sono messa a leggere! Poi non me ne vogliano i fan!
Toccherebbe ai Dimmu Borgir, ma a quanto pare ci sono altri problemi. Pare infatti che buona parte del loro equipaggiamento sia andato perso. E vi assicuro che vedere i Dimmu Borgir suonare live senza tutte le loro classiche armature borchiate fa un altro effetto. Vortex non era neanche truccato! Però ho solo sentito commenti positivi. Chi li aveva già visti live ha confessato di non averli mai visti così vitali, forse perché erano arrabbiati per tutti i problemi. Sta di fatto che fanno uno show buono nonostante i problemi.
E fu metal e fanghiglia, terzo giorno.
Il mattino seguente inizio veramente a sentire nostalgia di casa, e stranamente inizia a mancarmi anche la presenza a volte ingombrante del mio gatto. Boh…
Colazione, spiaggia, attesa inizio dei concerti. Ormai la routine è sempre quella. Resta il fatto che piove a dirotto pure oggi.
Quando pare che si sia placata vado a vedere sul main stage. C’è uno strano gruppo folk/doom romeno, i Negura Bunget. All’inizio sono rimasta un po’ spiazzata da questo folk veramente folk perché c’è un fortissimo uso degli strumenti tradizionali, ma alla lunga è diventato molto piacevole e rilassante. Niente a che vedere col folk solito che si sente provenire soprattutto dal nord Europa.
Seguono i Vader.
I polacchi ci danno dentro fino all’ultimo, uno show così intenso che sembra quasi che duri troppo poco. Consiglio caldamente tutti quanti di andarli a vedere.
Tocca ai Destruction, unica band che si riesce ad accaparrare un po’ di sole. Anche qua c’è poco da dire. Sarà che ormai hanno quasi 25 anni di carriera e live show alle spalle ma sanno veramente fare il loro lavoro. Non ho visto tutto lo show ma fonti attendibili mi dicono che hanno veramente aperto di tutto.
Non ho seguito tutto lo show perché nello stesso momento si stanno esibendo dei miei amici sul second stage.
I Disease Illusion, formazione bolognese, secondo me sono in lizza per fare da opener il prossimo anno. O almeno lo spero. Scusate se faccio pubblicità ma ci tengo a ‘sti ragazzi. Mi dicono dalla regia che non hanno reso così tanto, ma secondo me hanno fatto una bellissima figura. E c’era parecchia gente che si fermava a guardare e la vedevo soddisfatta. Bravi, molto bravi, per essere una band emergente.
Ok, è ora di tornare al main stage. Tocca ai grinder Napalm Death.
Anche qua non sono una grande estimatrice del genere, che considero un po’ “l’eiaculazione precoce” del death metal, passatemi il termine, però c’è da dire che sono bravi.
Possono non piacere, soprattutto la brevità di alcune canzoni può lasciare spiazzati, ma sono solo 4 e sul palco paiono essere in dodici tanto casino fanno. L’accento cockney del cantante poi fa impressione. Nella scaletta viene inserita anche la cover di Nazi Punk Fuck Off dei Dead Kennedys, a testimoniare le radici punk della band.
Dal grind ad una delle band più discusse della storia del metal. I Dragonforce.
Ero partita prevenuta, convinta di sentire delle gran stecche da parte dei due chitarristi e invece…no. Era tutto, pulito, asettico. Perfetto. Talmente perfetto che se non fosse stato per i siparietti divertenti dei vari componenti mi sarei addormentata nel photo pit.
Sono matti, perché prendersi a calcioni nel sedere uno con l’altro non è sicuramente roba da persone normali, però insomma, stemperano un po’ la noia che la loro musica così “perfetta” instilla.
Il tastierista ha poi un assoluto bisogno di un consulente di buon gusto nel vestire, e soprattutto di ago e rocchetto di filo per riparare quello squarcio nei pantaloni che se non avesse avuto le mutande addosso ci avrebbe mostrato tutta la mercanzia. Alla lunga poi ci si accorge che tutti gli assoli sono uguali, e la noia sale ancora di più.
Alla quarantesima volta che il bassista tira un calcione nel deretano al chitarrista poi ti passa la voglia di ridere. Sto sbadigliando adesso!
Vabbeh passiamo oltre.
Tocca agli Hatebreed, ma proprio non ho voglia, e vado a vedere i Warbringer sulsecond stage. Thrash di quello vecchio stile, pura guerra musicale. Circle pit sul second stage! Fantastici. Veramente.
I Down proprio non avevo più la forza.
E fu metallo e Phil Anselmo, quarto giorno.
Quindo ed ultimo giorno di concerti.
Il miraggio della doccia e del mio letto si fanno sempre più reali. Reali tanto quanto la pioggia che come al solito si abbatte si noi poveri metallari e ci fa fare la ruggine. Causa maltempo mi perdo Sons Of Season e Extrema, ma almeno i Mystic Prophecy riesco a vederli. Show carino, peccato ci fosse poca gente.
Altra nuova e piacevole scoperta sono stati i Die Apokalyptischen Reiter, veramente molto piacevoli. Un genere totalmente indefinibile, ma orecchiabile e nonostante il pauroso, o ridicolo, tastierista in versione bondge lo show che ne consegue è divertente e incalzante. Ottima tenuta di palco per i tedeschi.
My Dying Bride saltati a piè pari.
Edguy magnifici. Eccezionali. Veramente in forma tutti quanti. Tobias grande mattatore della serata, fa da ottimo apripista per gli headliner Kreator. Su Superheroes la maggior parte della folla canta, idem per i pezzi del nuovo album. Veramente bravissimi.
Tocca ai Kreator. È il vero e proprio delirio.
Il thrash nella sua anima più distruttiva si riversa addosso al pubblico anche se imperterrito continua a piovere. Pazzesco, mai vista tanta devozione per una band. Il pubblico si infiamma, mosha, circle pit, manca solo il wall of death ma c’è troppa gente per avere lo spazio necessario al wall of death. Su Enemy Of God è pauroso quasi. La Flag Of Hate, tra l’altro acchiappata da due miei amici, è un terremoto di saltelli. Si sente proprio il terreno vibrare, anche a causa dei fortissimi volumi.
Il tutto termina forse un po’ troppo velocemente, ma cosa si vuol pretendere, è più di mezzanotte e credo che i cittadini di Tolmin ne avessero anche abbastanza.
E fu metal e massacro, quinto giorno. Si torna a casa.
Tirando le somme, questi grandi raduni sono esperienze che ognuno si porta nel cuore. Sono ancora qui che penso a che fine abbia fatto Marjan, mi domando come ho fatto a non ingrassare di un etto con tutte quelle schifezze che ho mangiato. Però sono felice di essere andata e sono certa che ritornerò il prossimo anno. O almeno lo spero.
E speriamo di ritrovarlo di nuovo a Tolmin, perché lì è veramente l’inferno al paradiso!