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METALCAMP 2010

Attenzione: Prima che pensiate che chi ha scritto il report soffra di doppia personalità, vi informiamo che questo report è stato scritto a quattro mani! Enjoy.

5 LUGLIO

Tolmin. Un piccolo e tranquillo paesino sloveno che per 5 giorni l’anno si trasforma in un vero e proprio paradiso di metallari. Un luogo idillico dove regnano incontrastati tatuaggi, capelli lunghi, casse da 25 di birra Lasko comprate al fantomatico “Mercator” e una massiccia dose di sano metallo. Non posso che commuovermi mentre varco le soglia di tale luogo utopico. Nerboruti e trucidi individui dall’aria tuttavia bonaria e festaiola ritornano con passo tranquillo giù nella valle che funge da campeggio, una distesa di verde circondata dalle montagne. Nonostante la marmitta della macchina presenti alcuni problemi esistenziali rendendo il nostro arrivo piuttosto rumoroso e il mio gentil compagno alla guida piuttosto incazzato, guardo fuori dal finestrino e mi sento in pace con il mondo.

Sono le 11 a.m, e soddisfatti della nostra puntualità ci portiamo verso l’ingresso vip & bands. A meno di un’ora dal nostro arrivo si notano già le prime crepe nell’organizzazione: i nostri pass non sono ancora arrivati. E io che mi lamentavo della pessima organizzazione italiana! Nonostante ciò, ancora ebbri di soddisfazione per l’effetto dell’atmosfera generale ci sentiamo disposti ad aspettare.
Lo scorso anno l’organizzazione per quanto riguarda la stampa era stata eccelsa. Quest anno hanno, come dire, toppato, da questo punto di vista. I pass e gli accrediti ci sono stati consegnati alle nove di sera, (dopo continui rinvii e code interminabili)quando ormai il nostro nervosismo era alle stelle, l’euforia iniziale quasi interamente sfumata e i concerti del warm up già iniziati e finiti. L’area stampa era ridotta ad una sorta di lager in cui si era costretti a stare senza poter vedere una beata mazza del concerto se non qualche testa che volteggiava e la cattiva gestione dei fotografi da parte della security (quest’anno affidata ad un’altra agenzia, non come lo scorso anno in cui gli addetti erano sì omaccioni dalla faccia burbera ma di carattere erano tranquilli e molto disponibili nei confronti dei poveri giornalisti bagnati fino al midollo) che ci trattava come armi pronte ad esplodere e ci impediva di raggiungere il photo pit prima dell’inizio del concerto.
Non dico di lasciarci piantare le tende lì, ma almeno uno, due minuti prima no eh? Solo quando la band era sul palco e solo se c’erano tutti quanti e stavano già suonando vi si poteva accedere. Io avrei voluto fotografare il salto fatto dal cantante degli Overkill quando è salito sul palco ma in questo modo è stato impossibile! Si creava una sorta di gara a chi era più veloce (o semplicemente abbastanza grosso da ostruire il passaggio) e tanti saluti alle foto degli artisti che salgono. Amen, ormai è passato.

Diciamo che per quanto riguarda security e gestione della stampa ci sono state alcune limitazioni non proprio simpatiche: infatti oltre alla divisione in due dell’area backstage ci era anche impedito di raggiunere il second stage direttamente dal primo, il che voleva dire correre se c’era qualche band che interessava sul palco piccolo, cosa che lo scorso anno è successa più di una volta. Si sarebbe potuto fare di meglio. In ogni caso, la prima giornata viene trascorsa nell’attesa e nel montaggio tende (e ci perdiamo così gli unici due gruppi che suonavano) nell’avvistamento di qualche conoscente/amico e a un breve giro nell’area festival in cui osserviamo le caratteristica fauna e flora del camp, mentre all’info point veniamo dotati di kit di benvenuto (con tanto di mantellina per la pioggia, running order, bandiera, cartolina e tappi per le orecchie) e sacchi per l’immondizia. Devo dire che il sistema di raccolta rifiuti era molto funzionale e evitava l’accumulo di migliaia di bicchieri di birre nell’area festival.

Il dio del metallo (che forse ci ha protetto) ha fatto cadere poca pioggia, impedendo che il posto si tramutasse in un Sonisphere 2 la vendetta (lo scorso anno invece era una sorta di Woodstock) ma causando picchi di 35° molto umidi, con escursione termica notturna in cui si scendeva abbondantemente sotto i 20. Ci meravigliamo di non essere tornati a casa con un raffreddore.
Al calar del sole siamo piuttosto stanchi e nervosi, e la serata finisce con qualche lattina di Lasko, sclerate isteriche alla ricerca di una doccia (ed è quello il fatidico momento in cui scopro che cessi e docce sono chimici…the horror!) e poi tutti a nanna.

6 LUGLIO

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Niente di meglio per svegliarsi se non le acque verde smeraldo del fiume e della buona musica, come se non fosse bastata la massiccia dose di brutal gentilmente offertaci dai vicini austriaci alle 7.30. La scoperta della spiaggia è per me motivo di immensa gioia, soprattutto quando mi accorgo che l’acqua è talmente fredda che riuscirebbe a far resuscitare un muflone morto da due settimane. Dopo un primo momento di esitazione ci lanciamo nell’acqua, perdendo completamente la sensibilità degli arti, sotto gli occhi ironici degli sloveni e degli austriaci, i quali considerano una tale temperatura perfettamente nella norma.

La giornata peggiora quando scopriamo che il nostro accesso al backstage è limitato e che la maggior parte delle conferenze stampa vengono annullate. Come già avevamo fatto il giorno precedente, ci guardiamo e sorridendo istericamente ci diciamo che “peggio di così non può andare” e come nei peggiori film di serie b, inizia a piovere. Ed è un’ora di delirio in cui l’acqua viene giù a secchiate e mentre mi rifugio sotto il tendone bar la gente ride del mio pseudo k-way modello sacco della spazzatura della birra Ottakringen (birra ufficiale del festival) che mi arriva alle ginocchia e mi fa sembrare un puffo giallo.

Ma dopo queste lunghe divagazioni parliamo di musica, finalmente. Si parte con i Lost Dreams, una band melodic death senza infamia e senza lode, che fa il suo spettacolo sotto un cielo che va annuvolandosi prima del disastro, non conosco quindi passo oltre.
Subito dopo tocca ai glammissimi Enforcer. Forti di un discreto seguito presente che resiste alla piccola tempesta che mi fa perdere metà della loro esibizione, riescono a fare uno show godibile, appassionato e ben eseguito. Peccato appunto per la pioggia che rovina l’effetto, ma questi ragazzi svedesi sfoderano le loro armi migliori, ovvero un mix tra heavy ottantiano e momenti alla Motley Crue che si combina perfettamente.
Cala la pioggia giusto in tempo per i tedeschi Dornereich. Lo scorso anno li ho visti al Pagan Fest (la cui bill era presente nella sua interezza sparsa per tutti i vari giorni anche al Metal Camp) rimanendo colpita in senso negativo. Mi devo ricredere. Una setlist un tantino più movimentata, un pubblico più reattivo e anche qualche parola in più spesa dal cantante rendono lo show molto migliore, più piacevole e decisamente più incisivo. Questa volta i tedeschi metallari col violino (“e che violino!”, fatemi aggiungere) sono promossi a pieni voti.

Si cala un po’ sui Crowbar. Beh, non ho mai nascosto di non essere una fan di sludge e stoner metal e anche sul fattore live non lo promuovo. O almeno non promuovo loro. Lenti, ripetitivi, poca risposta dal pubblico, si rivelano essere più che altro la brutta copia dei Down di Phil Anselmo, e non per niente il chitarrista suona in entrambe le bands. Va bene che dopo la tempesta s’era fatto caldo, però insomma, una palla al piede proprio. Quando sono scesi dal palco mi sono sentita sollevata.

Finalmente l’atmosfera migliora con i Nevermore, anche se in un primissimo momento ho pensato che il cantante fosse un po’ fuori tono ma mi sono dovuta ricredere. Carino il siparietto in cui il suddetto cantante sbaglia ad annunciare la band e si da del cazzone da solo. Ha fatto tutto lui!
Bellissima esibizione, un’ora di movimento, la folla inizia finalmente a popolare il pit senza paura di rimanere bruciata da sole furioso che lentamente scende dietro le montagne.

Unico appunto: l’impressione generale è però quella che non siano propriamente un gruppo da festival. Brillante la performance, con classici quali Born, The Heart Collector, Enemies of Reality e l’ultima The Obsidian Conspiracy si confermano come uno dei migliori gruppi di sempre, ma buttati sul palco a un’orario casuale e senza le loro strumentazioni e i loro suoni non rendono come potrebbero, nonostante rimangano comunque tecnici e impeccabili. Conto quindi di rivederli in un contesto diverso da quello del festival per apprezzarli al massimo.
E si passa ai deathsters Six Feet Under. Non sono una fan del brutal, del cantato growl così basso da essere tre toni sotto il rutto da competizione e sinceramente gli strilli di Barnes più simili ad un amplificatore sfondato in cui viene fatto suonare un gatto a cui è stata pestata la coda mi fanno alquanto ribrezzo, e soprattutto la fama della band di brutallari impenitenti mi aveva preparato ad una sfuriata simile al grind core. Trovarmi di fronte ad un cantato brutal/gatto pestato con tempi molto molto molto più lenti mi ha lasciato molto spiazzata. Non ho seguito del tutto la cosa, però per quel po’ che ho visto non ho apprezzato particolarmente, ma i fan sembravano in delirio. Un ottimo riscaldamento prima dei Cannibal Corpse, sicuramente chi apprezza di più il genere avrà goduto parecchio, ma io, personalmente non mi sento di promuovere la band per il semplice motivo che non posso giudicare in quanto non li conosco e non ho intenzione di ampliare la conoscenza. Giudizio in sospeso, né positivo né negativo. Un “se volete”, diciamo. Carina la cover di TNT, anche se inquietante.

Ora tocca al Cadavere Cannibale, una delle band più importanti dell’ambito death metal (in cui militava il suddetto Barnes prima di lasciare il posto all’uomo col collo più grosso del mondo) che non delude il suo pubblico anche troppo poco attivo per essere di fronte a cotanta violenza. Il mosh deve essere animato più di una volta da Fisher, che ce la mette tutta. Spesso mi sono lamentata di band statiche che non si muovono di un passo dal loro posto, ed è successo anche con i Cannibal, ma con risultati diversi. Il loro essere immobile non da idea di staticità ma piuttosto di concentrazione e meticolosità nell’esecuzione. Peccato che veramente il pubblico quest’anno sia stato moscio da far paura. Voglio dire, eravamo davanti ad una delle band più famose della storia del metal e il pubblico stava fermo. Sarà stato il caldo? Chissà.
Tocca ora al main event della serata, i brasiliani Soulfly, che tirano fuori dal cilindro uno show potente ed energico nonostante Cavalera non sia al massimo della forma. Ipotizzo un raffreddore, o qualcosa del genere perchè si sentiva che faceva fatica a cantare. Il pubblico comincia finalmente a muoversi. Oddio, ho visto uno uscire dal wall of death col naso sanguinante (e pure parecchio) ma nulla di trascendentale. Uno show coinvolgente, anche se non sono una grande fan. C’è da dire che cinque canzoni dei Sepultura per un’ora e mezza circa di set forse sono un po’ tante, ma quando è partita Roots Bloody Roots beh, si è scatenato un infernino piccino piccino, quanto bastava per vedere anche la Collina del Relax smuovere le testoline stanche e ubriache marce.

È con i Korpiklaani, il clan della foresta, che persino i metallari più musoni e truci diventano saltellanti folletti, e nel giro di pochi minuti si crea un’atmosfera da festa dell’unità. Ed è subito un tripudio di balli sfrenati, birra ovunque (Soprattutto durante il cavallo di battaglia Beer Beer), e trenini di gente impazzita. A noi frega ben poco di chi, come il giornalista sloveno che abbiamo incontrato, ci dice “Do you like Korpiklaani? They are not metal!”. La musica deve essere anche divertimento e i nostri finlandesi ce ne danno a volontà, tanto da farci ignorare i vari problemi alle chitarre. Il concerto si apre con un’altra canzone dedicata all’alcool, Vodka, che non può non mettere d’accordo tutti. Si passa poi per le intramontabili Pellonpekko e Happy Little Boozer. Non saranno metallari propriamente detti, non saranno cattivi, ma vedersi centinaia di persone attorno che ballano e si divertono non ha prezzo. Altri commenti sono superflui.

Ce ne torniamo così, un po’ saltellando e un po’ scivolando verso la tenda, scavalcando gente collassata e salvando ubriachi barcollanti a un passo dal rotolare giù dalla collina.

7 LUGLIO

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Risveglio traumatico. Coda interminabile per la doccia. I vicini non sono più così freschi e arzilli e dappertutto spuntano colline di lattine di birra. Il caldo diventa sempre più insopportabile. Dopo pranzo ci rintaniamo di nuovo nelle tende piene di formiche e al risveglio facciamo la conoscenza del ciarliero austriaco Franz, che ci spiega in modo semi incomprensibile che si chiama Francis, come il fratello di Malcolm (quello del telefilm). Colazione calma a base di caffè e latte con biscotti e la prima birrina e si parte a discutere di chi ci interessa e chi no del secondo giorno. Tra bombole di gas e fornelli da campeggio stiliamo un piano di battaglia e c’è anche chi riesce a farsi una doccia fredda da fiume e dopo mezzo chilo di pasta al pomodoro in cinque ci avviamo verso questa caldissima giornata.

La prima band che riusciamo a vedere sono gli italiani Sadist, una delle due band italiane che ha l’onore di suonare sul main stage. I Nostrani, che molto devono a band come Cynic e Death, tirano fuori tutta la loro cattiveria con una tecnica da far spavento. Il chitarrista che suona chitarra e tastiera tutta in una volta è uno spettacolo. Bello show benedetto da una nuvoletta che ci permette di sopravvivere senza dover per forza cercare il refrigerio dei pochi alberi presenti nell’area stage. C’è anche un bel po’ di pubblico, non molto attivo, ma è comunque parecchio, considerando che sono solo le quattro!

Subito dopo tocca ai norvegesi Trail Of Tears, che si fanno portavoce di un extreme/gothic metal con voce femminile piacevole e interessante, anche se la temperatura sale…bella prova, molto attivi e sicuramente molto piacevoli se si apprezza un metal alla Cradle Of Filth con meno strilli e meno orchestra. Lo slot temporale però non li aiuta, perchè metterli dopo una band estrema a quell’ora non volge a loro favore.

Bene, adesso permettetemi di essere molto, molto, molto di parte. È l’ora degli Arkona. Per chi non lo sa, io adoro scavare nell’underground metal russo (e vabbeh, loro underground non lo sono, ma state a sentire) e scavando qua e là ho scoperto un annetto fa questa band che a mio dire è a dir poco spettacolare. Non solo perchè la cantante fa tutte le parti di growl e di pulito, ma perchè sono in quattro, cinque quando riescono a portarsi dietro il violoncellista (come in questo caso), contano come un’orchestra (grazie anche alle basi orchestrali preregistrate) e pestano come un battaglione di variaghi sulla steppa attorno a Rostok! Vabbeh, lasciamo perdere le mie uscite da slavista. Insomma, per me la miglior esibizione della giornata, molto più bella della già eccellente esibizione della data italiana del Paganfest, con una gran folla, ottima risposta del pubblico. Bellissima interazione tra band e audience e un’unica steccata su Yarilo di Sergei. Va bene che non mi stancherei mai e poi mai di ascoltarli, però sono stati sicuramente una delle band più soddisfacenti del festival, con una tenuta di palco eccellente e una frontwoman con i controfiocchi che incita il pubblico a cantare nonostante il russo antico non sia una delle lingue più facili da masticare! Ma in fondo che importa, vedere (e sentire) la folla dietro di te mentre fai le foto gridare Goi, Rode, Goi è un’emozione. E li è anche Slavsia Rus’, con i suoi cinque minutini stringati di pura epicità antico-slava. La mia proposta? Più band russe nel panorama concertistico occidentale!

Ed ecco poi un’altra presenza femminile: i Leaves’ Eyes di Liv Kristine, sfavillante e sorridente nel suo lungo vestito nero e bustino rosso fuoco. Poco c’entrano con l’intero festival e non fanno certo il pienone ma è una piacevole e rilassante parentesi. Immancabile la presenza del marito Alexander Krull, che durante My Destiny incita il pubblico e alza il livello di cattiveria della band. I nostri danno prova di sapere come si tiene un palco ad un festival e come si canta. La formazione, che alternativamente viaggia sotto nome di Atrocity e Leaves’ Eyes, è preparata e molto professionale, forse i due chitarristi sono un po’ troppo concentrati sul loro lavoro, ma la chimica tra Liv Kristine e il coniuge Alexander Kull è evidente, così come la loro intesa sul palco. Una delle prestazioni migliori dal punto di vista canoro, Liv non stecca nemmeno se la paghi, segno che l’esperienza on the road di tanti anni di militanza le ha insegnato bene.

In teoria ci sarebbero dovuti essere gli Overkill, ma quando entro nel pit e vedo i Devildriver sul palco mi dico “Chissenefrega, non cambia”. La band americana capitanata da uno scafatissimo frontman propone il suo groove metal con inserti core all’unica maniera che conoscono: veloce, preciso, concreto. Pochi fronzoli per i cinque omoni americani, qui si bada alla sostanza, e che sostanza! Non sono una fan di questo genere, ma come dissi lo scorso anno quando vidi i Lamb Of God, non posso fare altro che togliermi il cappello e annunciare che questa band ci sa fare e anche parecchio. La tenuta di palco è eccellente, il pubblico è in visibilio, anche se molti si aspettavano i suddetti thrasher, ma reagisce molto bene. Il pogo inizia quasi a farsi serio, anche se lo scorso anno ho visto di molto meglio. Bella presenza, bella prova. Da riconsiderare.
Adesso tocca veramente agli Overkill, stelle del thrash old school che non te la mandano a dire e ti mandano a fanculo molto volentieri. Nulla da segnalare se non uno show energico. Pochi fronzoli anche qua, come vuole il thrash, ma tanta voglia di far casino che a volte sfocia nell’hardocore punk. Avranno anche quasi trent’anni di carriera sulle spalle, ma ci sanno ancora fare, e hanno molto da insegnare a certe band che pretendono di far thrash e in realtà fanno acqua fresca. Senza offesa per nessuno.

L’atmosfera cambia di nuovo per i bavaresi Equilibrium ,e sembra di essere in Germania alla sagra dei crauti, ammesso che esista. Non rendono come da album ma il cantante tiene molto bene il palco. I pezzi tratti da Sagas (sicuramente l’album migliore) mi esaltano parecchio, mentre mi perplimono alquanto quelli tratti da Rekreatur, che sembrano stati scritti dalla Disney in collaborazione con Odino e soci e contengono molte scopiazzature da Sagas. Apprezzabile la volontà di sperimentare e di essere diversi dalle altre band del genere e anche la loro quasi totale dedizione alla band, ma l’effetto è talvolta di dubbio gusto. Il pubblico comunque apprezza, dato che nel nord europa godono di più fama… dubito che li vedremo come headliner a un festival in italia! In ogni caso, promossi.. sono pur sempre una delle migliori band del genere, e questo non posso negarlo.

Si torna alla tenda per l’ultima birretta e uno Screwdriver (vodka e succo d’arancia per chi non conosce la terminologia) fatto molto male e poi nanna, fa freschino e il sacco a pelo è molto, molto piacevole da incontrare.

8 LUGLIO

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E fu metallo e fu condensa.

Fa un gran caldo e il modo migliore per aprire la giornata è con una rapidissima doccia, un tentativo disperato di riparare gli strappi che adornano i miei pantaloni ripescati dall’armadio di papà (fanno molto thrash con gli strappi alle ginocchia!) e una bella salsicciata con annessi fagioli in umido. Pasto ideale, considerando che ci saranno si e no 32° all’ombra!
È una giornatina che si preannuncia molto calda, infatti mentre io sudo sette camicie, anzi sette magliette, al sole a far foto i miei simpatici co-camers se ne vanno tranquillamente al fiume a farsi il bagno… vabbeh non posso neanche fargliene una colpa, non avevo il costume da bagno io…
Insomma, arrivo in tempo per vedere gli ultimi dieci minuti dei Demonical, formazione thrash/death. Nulla da segnalare, se non la calura incessante e la popolazione che si fa rada, almeno per loro.

Seguono i greci Suicidal Angels, che con due album all’attivo sono già sotto contratto Nuclear Blast e stanno per fare uscire un terzo album, dopo il buon disco uscito a fine 2009. Comincia ad esserci un po’ più di gente per questi thrasher anticlericali che nessuna simpatia hanno verso chiesa, religione et affini. Cresciuti a pane e Slayer, il giovane combo greco da prova di conoscere il proprio pubblico (piuttosto copiosa la presenza di greci durante questa giornata) e lo sanno intrattenere egregiamente. Presentano anche un pezzo inedito che andrà a far parte del nuovo disco, il pubblico reagisce molto bene. Ottimo lavoro!

Tocca ora ai rinati Decapitated, riformati dopo la tragedia che ha tolto la vita al giovanissimo batterista Vitek e ha quasi ucciso il cantante, ancora in convalescenza per un gravissimo trauma cranico riportato in quella fatale notte in Bielorussia. La nuova formazione, rimessa in piedi dall’unico membro rimasto, il chitarrista Vogg visto lo scorso anno assieme ai compatrioti Vader, dà una prova emozionante. Si vede che è una band che ha preso batoste non indifferenti, ma i Decapitati non si fermano davanti alle avversità della vita e ci regalano uno show magistrale, condito con una presenza di pubblico strabiliante per essere le quattro del pomeriggio. Nella giornata dei grandi nomi del metal estremo polacco, i Decapitated ingranano la quinta e ci regalano uno show memorabile. Fantastici, veramente, anche col caldo e l’afa di questo giovedì pomeriggio.

Passa una ventina di minuti e gli olandesi Epica salgono sul palco. È l’orario ottimale per far foto, controllate la galleria di Flickr per averne la prova, la luce è perfetta e lo ammetto, Simone Simmons è piuttosto fotogenica. Peccato per due o tre problemi di carattere tecnico che minano le tastiere, ma gli Epica danno una buona prova nonostante il caldo e i problemi. Visti due anni fa a Bologna, avevo deciso che, bene, li ho visti, prossima volta risparmio e vado a vedere i Within Temptation (il 22 marzo ci sarò e spero per il MC 2011), l’uscita dell’ultimo album aveva confermato questa sentenza ma ammetto che questa volta mi hanno stupito in positivo. Una set list concentrata più che altro sui pezzi di Consign To Oblivion e sul primo album di cui al momento mi sfugge il nome permette di apprezzare il barocco dei pezzi nuovi anche live (a mio dire un po’ troppo barocchi ma va bene così) ma anche di ritornare indietro di quasi dieci anni e risentire pezzi vecchi, tra cui Consign To Oblivion, pezzo forte del pomeriggio, eseguita molto bene e senza steccate di nota. Mentre me ne stavo seduta sul mio posticino in collinetta mi sono ritrovata a pensare che sarebbe un’ottima idea per loro fare un disco di sola orchestra, senza chitarroni e nient’altro. Hanno un talento incredibile per quanto riguarda gli arrangiamenti orchestrali! C’è una gran folla, probabilmente più di tremila persone tra spettatori interessati e spettatori casuali, ed è piacevole vedere come nessuno si attenti a dir nulla di che, visto che sono stati messi tra i Decapitated e gli Exploited! Una cosa del genere ad un festival italiano e sarebbero volate bottiglie. Bellina la battuta su come facciamo a non assomigliare a polli fritti e la raccomandazione di metterci la crema solare per non trasformarci in aragoste,come è successo a moltissimi metallari e ai nostri vicini di tenda che hanno sfidato la sorte girando tranquillamente senza maglia e senza protezione solare, trasformandosi in autentiche aragoste e rischiando il colpo di calore o l’insolazione.
Altri venti minuti e salgono sul palco gli Exploited, formazione di cui l’unico membro originale rimasto credo sia il cantante, dedita ad un hard core punk che sfocia nel thrash e che dimostra come il punk e il metal abbiano moltissimo in comune, senza bisogno di stupide rivalità musicali da quindicenni lobotomizzati (come, stranamente, accadrebbe in Italia). Non ho seguito bene lo show (avevo una gran fame, la cena chiamava), ma per quel che ho visto (inizio e fine dell’esibizione) gli scozzesi ci hanno date dentro di brutto, riportando l’arena indietro di un paio di decenni, anzi tre, quando in Inghilterra si cantava di disagio sociale e di scioperi e di mandare a fanculo la regina (chiedo scusa ai lettori inglesi [sempre che ce ne siano] ma è così, signori).

Subito dopo tocca agli svizzeri Eluveitie, altra band che ho avuto modo di vedere al Paganfest 2010.
Già allora mi erano piaciuti molto, stavolta sono stati anche meglio. Anche se i problemi di feedback errato ad una delle due chitarre ha dato qualche grattacapo ai tecnici, ma la formazione gaelica è esplosiva. Pochi fronzoli (credo sia la parola dell’anno!) perchè la scenografia era ridotta all’osso (il cartellone col nome della band e loro stessi) e un mare di metallo! Toccano anche il bistrattato Spirit, che a Marzo era stato bellamente escluso dalla setlist, il che dà una botta in più al risultato finale. Glanzman tira fuori dal cilindro una performance emozionante, per una volta si toglie dai panni di adoratore dei Dark Tranquillity e si esprime in maniera più personale. Il pubblico apprezza, cantando, saltando, pogando e con un circle pit che non raggiunge i livelli di quello dello scorso anno con gli Hatebreed, ma siamo su livelli più accettabili. Del resto erano riusciti ad ottenere un circle pit anche dentro l’Estragon! C’è anche un wall of death, finalmente fatto bene e caricato a dovere, anche se il meglio verrà l’ultimo giorno con gli Exodus, ma vi racconterò. Bellissimo concerto, appena torneranno a distanza decente da Bologna tornerò a vederli (sì ok, non tratterrò il respiro nell’attesa).

Viene ora il bello, l’avvenimento della giornata. Per scaramanzia, dopo la tempesta che si scatenò nel 2008, vengono montati sugli amplificatori i teli cerati di copertura, non si sa mai che il dio del metallo ce l’abbia con noi e oltre al caldo voglia scatenarci addosso pure la pioggia ora che finalmente si sta bene!

Salgono sul palco i Behemoth, autori di uno spettacolo eccezionale, più unico che raro. Tra i miei co-camper c’era un amico che aveva già assistito a un loro concerto ed era preparato a quello che avrebbe visto, ma noi altri eravamo, come dire, “vergini”. Dopo averli visti girovagare per l’area del festival in ciabatte da piscina e pantaloncini corti per tre giorni buoni, finalmente Nergal e soci salgono sul palco nella loro tenuta migliore, più simili a sacerdoti di un culto esoterico che a turisti. Beh, signori miei, credo che un loro concerto sia un viaggio all’interno di un universo oscuro ma non per questo pauroso, anche perchè sotto la guida esperta di Nergal il pubblico si accende come una torcia imbevuta di olio per lampade. I quattro polacchi ci regalano un’ora e mezza di puro spettacolo, ben orchestrato e ottimamente eseguito. I due encore, con annessi lanci di chitarra da parte di Nergal, ci regalano momenti di pura estasi estrema, e l’assolo di batteria di Inferno è da manuale. Estasiati, continuiamo a parlarne fino all’arrivo alla tenda ed anche oltre, colpiti molto in positivo da questa band ormai sulla piazza da una vita, che ha dato un tocco di cultura (leggetevi i testi) al metal estremo. Fenomenali.

9 LUGLIO

imm

E furono Kraken e mostri degli abissi e mattina.

La mattina del venerdì comincio a inneggiare a casa e ad avere le traveggole. La prospettiva che, due giorni dopo, a quell’ora sarei stata in una comoda e nuova macchina con scarpe diverse dagli scarponi da montagna e soprattutto mamma che cucinava era parecchio allettante. Sì ok sono una poltrona! Dopo un po’ la vita da campeggio mi fa diventare cretina! (Io invece pantaloni corti e ciabatte per mimetizzarmi con i tedeschi.. n.d. Anna)

Vabbeh torniamo a noi. È stata la giornata del chilo di pasta col tonno in sette accompagnata da un’anguria di cui sono volate bucce a venti metri da noi. Il tutto accompagnato da margarita a mano piuttosto cospicui e non vi dico le risate. Una delle cose più belle di questi posti è che fai amicizia coi vicini di tenda e grazie ai social network, per quanto demonizzati, riesci a tenerti in contatto fino all’anno dopo, anche se magari abitano dall’altro capo dell’Italia. Ma parliamo di musica che è meglio!
Arriviamo in tempo per vedere i Varg, un’altra delle band viste al Paganfest (che si sono tutte quante dimostrate molto meglio qua al Metal Camp). Fa un caldo terribile e questi hanno lo stesso il coraggio di suonare coi fuochi d’artificio. E sono i primi a farlo! Finalmente! Lo scorso anno cominciarono i Nightwish il primo giorno e finirono se non mi ricordo male i Kreator con i petardi all’ultimo show! Quest’anno abbiamo dovuto aspettare parecchio. I cinque tedeschi si buttano a capofitto e ci danno dentro di brutto. Ammetto che mi hanno fatto un po’ pena. Faceva un caldo terrificante e loro suonavano con trucco, parrucco e armatura. Tutto rigorosamente nero. Dev’essere stato terrificante, poverini! Però ci hanno dato uno show spettacolare. Sono veramente da tenere d’occhio, hanno due album all’attivo e uno in uscita e sanno come si lavora. Il loro è un pagan metal relativamente grezzo con fortissime influenze folk ed è molto piacevole ascoltarli, magari leggendo un fantasy…oltretutto è fantastico vedere come questi cinque ragazzoni siano riusciti in così poco tempo ad agguantarsi un pubblico piuttosto folto che sfida il calore terrificante e sta lì sotto alla transenna a prendersi l’acqua che la security getta loro addosso con l’idrante a intervalli regolari, per tenerli bagnati il più possibile. Bello show, molto emozionante. Skoll fa sempre la sua figura live, così come Wolfzeit.

Subito dopo tocca agli Ensiferum, veterani del pagan folk finlandese e devo ammettere che la prima impressione che mi fecero quando li vidi a Bologna: non sono una band da palcoscenico, anche perchè sono troppo statici. Purtroppo la loro musica non rende suonata live, soprattutto i pezzi vecchi, in cui non c’era ancora Petri a cantare. L’incostanza canora di Petri purtroppo pregiudica molto la resa live, anche se tutti gli altri ce la mettono tutta per sostenerlo sulle parti di pulito. Nonostante questo, il pubblico c’è, canta e si scatena anche incitati da uno scatenato Sami che addirittura scende dal palco e si infila ne photo pit per salutare i fan (quell’uomo è troppo simpatico, ci tiene molto ai fan, forse ci tiene di più che a suonare) ed è una bella cosa perchè fa un caldo atroce e lo stesso i loro fan ci sono e resistono. L’idrante aiuta. Carini, energici e tutto quello che vi pare, ma da CD rendono di più.

Subito dopo tocca agli Obituary. Li avevo già visti in altra sede e non mi avevano colpito più di tanto, e stavolta rincaro la dose. Mi sembravano quasi come se non fossero una band. Il vocalist ce la mette tutta, dà una prova ottima, così come tutti gli altri presi singolarmente, ma sembra quasi che non ci sia affiatamento. Peccato perchè è una band storica che si merita tutta la sua fama e fortuna, considerando che sono stati seminali per quanto riguarda il death, ma ho notato tristemente come ci sia poco pubblico a vederli. Veramente un gran peccato.

Subito dopo tocca ad un altro gruppo di finlandesi, i Sonata Arctica, che finalmente riesco a vedere seriamente da una distanza decente. È il mio slot temporale preferito (le foto vengono veramente bene) ed è una band che ci tenevo a vedere, visto che mi tocca saltare la data italiana del tour. Fino a qualche anno fa li seguivo molto, poi dopo gli ultimi due anni ho smesso perchè rimasta delusa dalla piega simil prog che hanno preso. Dovrei sentire un po’ meglio l’ultimo, ma non è che mi abbia entusiasmato. Comunque, live sono uno spettacolo. Spettacolo non solo musicale ma anche di intrattenimento, perchè Toni è un mattatore nato che intrattiene il pubblico non solo a battutine e scherzi ma anche facendo discorsi piuttosto articolati per introdurre canzoni come Juliet in cui si lancia in una prosopopea shakespeariana o quando sbagliando un tantino target si butta su uno yodel ottimamente eseguito, considerando quanto sia difficile quella tecnica canora. Le prime quattro canzoni sono prese dall’ultimo album e da Silence, ovviamente la canonica Black Sheep e Fullmoon scatetano un bel pandemonio nel pubblico principalmente di ragazzi giovani appena avvezzi al metal o di ragazzi un po’ meno giovani che sono cresciuti anche con i Sonata Arcitca (presente, anche se ho solo 21 anni). Chiude Don’t Say A Word anche se speravo in una Wolf And Raven e lasciano totalmente fuori set list Winterheart Guild, da cui speravo prendessero almeno The Cage.
Pazienza.
È l’ora dei Paradise Lost che tanto attendevo. Mi guadagno a ringhi e occhiatacce la prima fila e attendo in estasi. Ma, con mia grande sorpresa, tempo una canzone e la delusione sopraggiunge. Il cantante pare assente, svogliato e, addirittura, irritato. Si riprende un attimo per commentare il meraviglioso paesaggio di fronte a lui e per esortare con cipiglio severo la gente sdraiata sulle colline a scendere e prendere posto sotto il palco, con scarsi risultati. Il fatto che la band fosse un po’ fuori contesto nel festival non mi aveva allarmato particolarmente, ma ciò ha avuto il suo peso anche considerando che non sono riusciti a coinvolgere il pubblico. Capisco subito che, come i Nevermore, non sono una band da Festival. Hanno bisogno dei loro suoni e di un palco che sia esclusivamente loro per essere compresi e apprezzati appieno. In ogni caso cerco di non pensarci troppo e mi godo la stupenda Erased e altre perle come No Celebration, Say Just Words e As I Die. Promemoria: da rivedere assolutamente.

Main event della serata sono gli svedesi Hammerfall, che come i Sonata Arctica sono autori di un ottimo show con contorno di discorsi più o meno accettabili del cantante che gli danno un’aria un po’ troppo presuntuosa per i miei gusti, soprattutto quando si lamenta per la recensione del loro nuovo album di Metal Hammer UK, composta di sole tre parole: “This sucks hard”. Al di là della poca finezza del recensore, la band non dovrebbe dimenticare che i giornalisti rientrano nella categoria fan, per cui l’insulto generalizzato “We don’t write songs for the press!” poteva risparmiarselo, anche perchè non credo che sputino sulle recensioni positive o che facciano gli alternativi underground ignorando la pubblicità… Ma passiamo oltre. Con tredici anni di attività alle spalle, i nostri ci riversano addosso un’ora e mezza buona di power metal duro e puro, suonato bene e con un’ottima presenza scenica da parte di tutti quanti (soprattutto di Oskar, per l’occasione tinto di biondo, in un attire più glam che power). È una set list più incentrata verso il passato che il presente, che lascia però fuori capolavori come Steel Meets Steel. Peccato. Mi sarebbe piaciuto sentirla live. Il pubblico partecipa attivamente e il sing along è incredibile, soprattutto visto da una posizione in rialzo che permette di vedere quasi tutta l’area. Metallari giovani e meno giovani si buttano a capofitto nello show, seguendo, cantando, saltando. Bellissimo show anche questo. Non è mai stato uno dei miei gruppi preferiti (anzi, a dirla tutta li ho abbastanza snobbati) ma live fanno più bella figura di tanti altri, e la grinta è davvero notevole.

Tocca ora ai Sabaton. In un primo momento mi sono detta: “Considerando le luci degli Hammerfall (ovvero un continuo cambio da rosso a verde a giallo a blu, devastante per chi deve fare foto a temi di scatto molto lunghi perchè manca la luce) non mi conviene nemmeno mettermi in fila.” Ma invece, appena ho visto le luci bianche stile pieno giorno ho afferrato la macchina e sono corsa a far foto a questa band relativamente giovane in giro da una decina d’anni che solo con gli ultimi due dischi sta avendo l’attenzione che si merita.
Pare che questo pensiero sia condiviso da parecchi perchè nonostante la tarda ora l’arena è piena bombata di gente che continua a venire a vedere questi ragazzoni vestiti in stile soft air che cantano di guerre, di marce, di soldati e di storia. Lo spettacolo è trascinante. Joakim oltre a cantare salta, poga, fa headbanging, ride, è esterrefatto (come me del resto) dalla risposta del pubblico ad una band relativamente di secondo piano. I suoi intermezzi parlati sono commoventi e esilaranti, soprattutto quando informa il pubblico che con la loro parodia di YMCA dei Village People sono a rischio denuncia,e che quindi non potranno farla. Alro particolare divertente è la tastiera, che reca la scritta “Gayboard”. Sono veramente dei pazzi… Esattamente come con i connazionali Hammerfall, c’è gente di tutte le età e tutti cantano! Attero Dominatus è bestiale, così come la trascinante Coat Of Arms.
Sfoderando una performance da brividi, i Sabaton si conquistano un posto nel mio cuoricino in cui occupavano già una bella fetta cosiderando che li seguo già da parecchio e la risposta del pubblico mi ha lasciato piacevolmente sorpresa. Allora non sono l’unica ad amare questi svedesi!

Torniamo alla tenda decantando le lodi della giornata che ci è piaciuta particolarmente (forse ha avuto alcuni dei concerti migliori del festival) fino a crollare esausti in tenda. Tanto poi il mattino dopo alle otto siamo già in piedi per colpa dell’effetto serra in tenda.

10 LUGLIO

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E così arriva anche l’ultimo giorno. Sembriamo tutti arrosticini abbrustoliti dal sole. Siamo stanchi, malnutriti (per quanto fossero buoni, alla lunga hot dog e kebab stancano) e persino l’omino con mantello e spazzolone del cesso come scettro ha l’occhio un po’ vitreo e si aggira per le bancarelle con lo sguardo perso nel vuoto. Ma già ho nostalgia di questo luogo a suo modo paradisiaco. Ci rechiamo in spiaggia per l’ultimo saluto e mentre mi immergo nell’acqua e perdo la sensibilità degli arti per l’ultima volta mi guardo intorno godendomi l’atmosfera rilassata di chi si sta prendendo una pausa dal mondo e non voglio assolutamente andarmene.

Dopo pranzo tuttavia ci portiamo sotto il palco per assistere allo show del primo gruppo, i D-Swoon, il cui chitarrista scopro essere il ragazzo di un’amica che non vedevo da parecchio tempo, e che per caso ritrovo proprio al Metal Camp.

Reduci dal second stage del Metal Camp 2009 suonano si esibiscono quest anno come gruppo d’apertura sul main stage, e nonostante l’orario (sono le due e mezza e il sole spacca letteralmente le pietre) ce la mettono tutta, e si vede che sono felici ed emozionati. Ci propongono un hardcore graffiante ed energico dai tratti progressive che fanno emergere le svariate influenze dei membri della band. Diversi dalla linea del resto delle band in scaletta, ma godibilissimi.

Subito dopo tocca ai finlandesi Insomnium, autori di una performance appassionata nonostante il caldo. Sotto il sole cocente delle tre del pomeriggio i quattro finlandesi dediti al melodic death con tocchi blues si concentrano su una set list che racchiude il meglio dell’ultimo album e qualche pezzo più vecchio, soprattutto su The Killjoy una folla che non mi aspettavo reagisce parecchio bene e saltella e canta (anche se il caldo ammazza). Bella performance, se riesco ad ottenere l’accredito per la data di Bologna assieme ai Dark Tranquillity cercherò di tornare a vederli.

Ed ecco gli olandesi Heidevolk, i cui due cantanti stupiscono un po’ per la bravura e soprattutto la particolarità delle voci. Purtroppo sono rimasta stupita di quanta poca gente ci sia a sentire una band relativamente giovane ma con un gruppo piuttosto nutrito di fan. Peccato. Non saranno la migliore band del mondo, ma lo show è carino!

Ora per gli Exodus che, come accennato precedentemente, sono stati gli unici in grado di caricare decentemente il wall of death. Sarà l’energia della loro musica? La loro carica è devastante, sono autori della miglior esibizione per quanto riguarda il thrash di quest’anno (un po’ povero questo genere in questa Bill, sarà che lo scorso anno era più che ricca), con una furia che solo la vecchia scuola sa tirare fuori. A questo punto ero diventata dipendente dell’unica bevanda a prezzo decente che c’era nel vip bar all’interno del backstage, ovvero la granita disponibile in tre gusti: cola della LIDL, puffo e sapone per i piatti al limone, e me la sono goduta tutta mentre Holt e compagni si scaricano sulla folla con violenza inaudita. Bellissima esibizione. Purtroppo nel frattempo arriva il fantasma dei Manowar e veniamo avvisati che i pass per MC saranno anche validi per il Magic Circle Festival, ma ormai il dado era tratto e sinceramente di starmene lì un’altro giorno al caldo a vedere i Manowar proprio non ci tenevo, quindi mi sono limitata ad osservare il manipolo di personaggi tutti targati con maglia degli only true metaller of the world (ironia, è tutta ironia) aggirarsi per il backstage e per l’area stampa lamentandosi di questo e di quello. È stato lì che ho pensato che se fai parte della crew dei MoW e una mattina decidi di indossare una maglia non loro rischi la decapitazione per mano di DiMaio. Lasciamo perdere, in questo frangente ho anche rischiato di inondare di granita Stanne dei Dark Tranquillity dopo che tutti e due avevamo preso la curva del corridoio un po’ troppo stretta! Lo rivediamo poi in spiaggia, dove allegro e sorridente si mescola ai comuni mortali e fa foto a destra e a manca. Penso che così dovrebbe essere un artista… umile e disponibile.

Ormai i Dark Tranquillity non hanno più bisogno di presentazioni. Sono in giro da vent’anni e che fanno spettacoli ben al di sopra della media degli altri. Anche questa volta non scherzano. Non per nulla sono tra i grandi del metal, o no? Un’ora e un quarto di pura emozione melodica, uno show che pochissime altre band saprebbero ripetere anche con questa calura che va spegnendosi. Misery’s Crown viene eseguita talmente bene che a momenti mi viene da piangere, peccato abbiano lasciato fuori Punish My Haven, ma in compenso hanno fatto The Fatalist ome opener, dall’ultimo album, in maniera tale che ha preso una piega tale da essere più bella che da disco. Con un leader carismatico come Stanne l’impatto live è assicurato, e pezzi come At the point of Ignition, Dream Oblivion e la fantastica Lost to Apathy mettono d’accordo tutti. Sarà stata la resa, le tastiere più presenti o semplicemente il fatto che i Dark Tranquillity live ci sanno fare? Non lo so, so solo che è stato veramente un bel concerto.

Si torna poi a folkeggiare con i Finntroll, nella loro solita animalesca mise, e si assiste a una delle migliori esibizioni del festival, anche se un po’ statica. Con le loro atmosfere demoniache da girone infernale fanno ballare tutti come spiritelli impazziti, e per Jaktens Tid e, ovviamente, Trollhammaren, è il delirio.

Ed eccoci all’evento dell’anno. Dopo una reunion che sapeva di boiata (almeno a me) ma con un nuovo album a dir poco eccellente, gli Immortal ritornano a calcare le scene per un tour dei festival estivi. È stato emozionante. Posso dire di aver visto il tour di reunion degli Immortal, una band che ha fatto la storia del metal estremo partendo da black, sconfinando del thrash e, a mio dire, prendendo la strada che era stata intrapresa da Quorthon coi Bathory, ovvero del black dalle tinte epiche. L’esibizione è spettacolare.
Si comincia con All Shall Fall e si salta avanti e indietro per tutta la discografia del trio svedese. Potete anche solo immaginare quanto sia stato bello, purtroppo non ci sono parole. La nebbia artificiale avvolgeva costantemente i tre, ma non importava vederli proprio distintamente, perchè l’importante era ascoltare. Meravigliosi.

E fu così che finì il Metal Camp edizione 2010, ovvero col botto. Come lo scorso anno i Kreator chiusero coi controfiocchi, quest’anno gli Immortal hanno messo il tappo ad una settimana di metallo che doveva ancora finire, perchè tra una bottiglia di Jagermeister regalataci dai tedeschi e i fondini della mia bottiglia di tequila siamo andati avanti a chiacchierare coi nostri vicini di tenda per almeno due ore, cercando Marjan per l’area camping e immaginando di poter raccontare la storia di questo poveretto di nazionalità e sesso incerto usando un approccio alla Superquark con ovvia musichetta. Sta di fatto che pur non essendo stato secondo me all’altezza dello scorso anno è stata un’esperienza esaltante, anche perchè eravamo pronti praticamente a tutto (pioggia, vento, nebbia, neve (no quella magari no) insomma a tutto) e ce la siamo cavata molto meglio dal punto di vista organizzativo.

E così scende un po’ di tristezza al pensiero di dover ritornare nel mondo reale. La gente comincia ad andarsene, anche se alcuni sono in arrivo per assistere al Magic Circle il giorno dopo. I gazebo vengono smontati, le montagne di lattine buttate svogliatamente nei sacchi della raccolta differenziata gentilmente offertici dall’organizzazione, e ovunque si notano facce che dopo 5 giorni di libertà ed euforia hanno già reinserito il pilota automatico per ritornarsene alla loro routine quotidiana.

Smarmittando e attirando gli sguardi perplessi di tutti ce ne andiamo anche noi e già facciamo il conto alla rovescia per il Metal Camp 2011.