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Necrophobic + Handful Of Hate + Guests

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Celebrano ben vent’anni di carriera gli svedesi Necrophobic, probabilmente la band più importante del movimento death/black svedese degli anni ’90 rimasta in attività dopo il definitivo scioglimento dei Dissection. Band che in questi venti lunghi anni non si è mai fatta trascinare dalle mode del momento e non ha mai abbandonato il proprio stile primigenio, senza inglobare troppe contaminazioni, sfornando sempre lavori di buona qualità. A conferma di tutto ciò, il nuovo Death to all, sugli scaffali dei negozi da pochi mesi che i cinque passano a promuovere (chiamati da Nihil productions) al Club 71 di Milano, assieme a due indiscutibili realtà del territorio nazionale come Handful of Hate e Horrid, e ai promettenti Death Heaven.
Purtroppo ci spiace essere arrivati tardi ed aver perso l’esibizione del combo veneto che già mi aveva destato buona impressione poco più di un anno fa in occasione della calata italica dei Cynic e che mi auguro di rivedere al più presto.

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Dopo il cambio di palco è il turno degli Horrid, autentica cult band del death metal italiano, anch’essa attiva dal lontano 1989. Purtroppo le paure nate durante il Nihil fest svoltosi sempre in questo locale riprendono vita sulle prime note della band, che godrà di suoni pessimi per tutto lo svolgimento dell’esibizione, non solo all’esterno ma anche nelle spie del combo varesino, che faticherà a sentirsi per tutto lo show incappando malauguratamente in più di un errore. Nonostante tutto i cinque non si rassegnano e continuano imperterriti a vangare che è un piacere estraendo qualche brano dai due full-lenght finora prodotti (ma c’è spazio anche per Blasphemic Creatures) accompagnati da un brano nuovo e dalla cover di You Will Never See dei Grave e, alla fine, ne escono vittoriosi. Una citazione particolare va al nuovo batterista Dez, che oltre a essere una vera e propria macchinetta aggiunge ulteriore dinamismo e quel tocco di varietà che riesce a far decollare le composizioni della band.

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Non è una novità nemmeno la potenza che sanno sprigionare su un palco gli Handful of Hate. I brividi per i suoni stavolta fortunatamente durano solo per poco più di una canzone (anche se il tutto non raggiunge livelli eccelsi) e poi possiamo finalmente goderci la band in tutta la propria malvagità. Il quartetto toscano si concentra stasera soprattutto sul nuovissimo album You will bleed dal quale vengono tratte la titletrack, Beetween pain and perdition, The pest’son e la devastante Extremism made fire – Cholera. Ricordo anche Livid e la malvagissima Boldly erected da Vicecrown. È un peccato non sentire quelli che oramai sono classici come I Hate o Catharsis in punishment, ma il tempo a disposizione è quello che è. Sempre promossi!

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Viene il turno degli headliner, dopo un lungo cambio di palco che comprende anche qualche “abbellimento” di scena (anche se tamarrata sarebbe il termine più giusto da usare) ecco sul palco i Necrophobic. L’impatto visivo certamente c’è, presenti nella nuova formazione a cinque elementi i Necrophobic sono le ultime persone a cui tireresti una lattina o una bottiglia mentre si stanno esibendo, per il semplice fatto che i tre uomini che brandiscono tra le mani gli strumenti a corde, sono tre pertiche di due metri per un centinaio di chili, con il collo grosso più o meno quanto una delle mie gambe. In mezzo a loro troneggia Tobias Sidegard, ora solamente dietro al microfono, che dà parecchio l’idea del barboncino in mezzo a un rottweiler, un pitbull e un dobermann. Tutti truccati, vestiti, torchiati e tatuati a puntino e pronti a sfidarsi a chi farà la posa più tamarra, ma soprattutto con la bottiglia di whiskey esibita bellamente da Sidegard all’inizio del concerto e poi praticamente non più toccata da nessun membro della band per tutto lo show, i Necrophobic, sinceramente, fanno cadere un po’ in me quell’alone sinistro che si era creato con l’ascolto dei loro dischi. Fortunatamente però, questa volta sotto al fumo c’è anche l’arrosto.
I cinque infatti attaccano con For those who stayed satanic dall’ultimo Death to all e si capisce subito hanno l’intenzione di non fare prigionieri! Anche il suono è finalmente all’altezza e il gruppo decisamente affiatato. Si prosegue con Into the Armageddon da The Third Antichrist per poi incentrare la prima parte del concerto sull’ultimo Death to all e sul precedente Hrimthursun. Si segnalano Celebration of the goat e l’ottima Blinded by light, enlighted by darkness. Sidegard delira dietro al microfono divertendosi a bestemmiare a ogni tre per due nella nostra madrelingua e ad interpretare corporalmente la malefica musica dei suoi compagni con delle mosse degne del miglior Renato Zero (putroppo è davvero così). Su tutti spicca la classe dell’ottimo chitarrista Sebastian Ramstedt, capace di pennellare di ottime e spesso maideniane melodie la furia distruttiva delle composizioni dei Necrophobic con una pulizia e una morbidezza invidiabili, dando un po’ di varietà a un sound forse troppo spesso esageratamente omogeneo ma efficace. La seconda parte si concentra invece sui primi tre album della band con Frozen Empire, Awakening, dall’esordio Nocturnal silence e la sola Nailing the holy one dall’ottimo Darkside. Fine dello show la band ringrazia, in pieno stile Manowar con strumenti innalzati a due mani verso l’alto e fatti “suonare” al pubblico delle prime file. Quando si pensa che davvero sia tutto finito rieccoli comparire per la finale The nocturnal silence, con la quale salutano una volta per tutte un pubblico non numerosissimo ma decisamente soddisfatto.