È una serata che aspetto dal 2 marzo dello scorso anno. I Nightwish di nuovo in Italia. E per la terza volta vedrò i Pain! E questa volta ci sono anche le Indica! E i Volbeat.
Alle quattro del pomeriggio il Palabam di Mantova, l’insolita location, è già assediato da fans di tutte le età. Ci sono metaller più scafati fino ai giovanissimi accompagnati da genitori, zii, fratelli più grandi…insomma ce n’è per tutti i gusti.
All’entrata è il solito marasma, la gente spinge, vuole arrivare in prima fila. Io ci arrivo, come al solito. Prendo postazione a lato per evitare gli spintoni classici e aspetto. Neanche tanto perché alle sette iniziano le Indica. Mezz’ora o poco più di tempo e il pubblico si infiamma! Non conosco i titoli delle canzoni, ma quando annunciano una cover di Kate Bush, e che cover perché Wuthering Heights (Cime Tempestose) è una delle canzoni migliori della regina dell’alternative inglese, giuro mi viene da piangere. L’esibizione è eccellente, il loro rock/pop per l’occasione tradotto in inglese rende veramente parecchio. E su Wuthering Heights appunto è il delirio, bene o male quasi tutti la conoscono e tantissimi la cantano, me compresa.
Peccato che duri poco ma è l’ora dei Pain! Ormai compagni di tour quasi indissolubili (a Febbraio sono ripassati in Italia assieme ai Brother Firetribe, in cui milita un certo Emppu Vuorinen) è già la seconda volta che passano in Italia accompagnando i Nightwish, e se lo scorso anno erano stati un po’ sottotono a causa dell’aggressione subita qualche giorno prima a Lipsia, questa volta sono stati una cannonata. Il loro industrial potente getta benzina sul fuoco e i numerosi avventori si scatenano. Su Shut Your Mouth, probabilmente la canzone più famosa, si diffonde una sorta di follia che prende tutti quanti, anche coloro che non li conoscevano. Il piccolo genio Peter da il meglio dietro al microfono per un’esibizione troppo corta purtroppo. Mezz’ora scarsa è niente in confronto alle 2 ore e mezza che hanno infiammato l’Alcatraz di Milano lo scorso San Valentino, parola di chi c’era!
Toccai Volbeat ora. E mi chiedo che cosa ci facessero lì, imbucati in una line up che non c’entra nulla con il loro metal/rock a billy. Sì ok, lo show regge, molto carino, le influenze di Cash si sentono, saltellano tutti e 3 come matti, ma…boh, non sono riusciti ad impressionarmi. Carini, bello lo spettacolo, ottima la tenuta di palco ma…non mi hanno impressionato purtroppo.
E ora main event. C’è da aspettare un po’ perché la scenografia è tutta da montare e quindi via libera a scogli di cartapesta, ancore più grandi di Marco Hietala (che di per sé non è un nanerottolo), fondali marini e prua di una nave a circondare le tastiere. E attaccate alla barchetta e alla tastiera una canna da pesca giocattolo con un pesciolino rosso attaccato all’amo. E un marinaio giocattolo su una delle tastiere che muove a tempo la testa. E l’ormai classico Edward Mani di Forbice. Siamo quasi pronti, le luci si spengono e…invece che la solita intro presa da una colonna sonora di un qualche film…una cornamusa. Le luci sono ancora spente ma…chi è furbo ha acceso il cervello e un nome gli si è materializzato nella testa: Troy Donockley, già ospite su Dark Passion Play. E con la sua cornamusa intona Finlandia di Sibelius, opera scritta per celebrare l’indipendenza del ducato di Finlandia dalla dominazione Svedese. È un gioco di inserimenti degli strumenti, prima tastiere e cornamusa, poi batteria, basso e chitarra, in sequenza. Un intro diverso dal solito e molto particolare. C’è un ospite per questo concerto, e che ospite. Il pubblico si fa trascinare, esulta, applaude, segue il ritmo. E si termina con Finlandia ma si comincia con Seven Days To The Wolves, una delle canzoni più acclamate dell’ultimo album. Un inizio energico, accompagnato dai fuochi d’artificio che scaldano la serata. La band sembra in piena forma, anche Anette Olzon, che qualche mese fa aveva dato qualche segno di cedimento dovuti a stanchezza e stress.
I suoni si rivelano subito ben bilanciati, si sente bene anche in prima fila dove solitamente si fa fatica a udire un qualche elemento.
Si salta all’indietro fino al 2002 con Dead To The World da Century Child, questa volta niente fuochi d’artificio ma un certamente il pubblico si infiamma. Un rapido intervento di Anette a darci il benvenuto e si vola in medio oriente con The Siren poi via con le atmosfere un po’ più leggere di Amaranth. Con una battutina piuttosto pungente Marco a questo punto annuncia Romanticide, uno dei pezzi meglio riusciti della serata, energica e cattiva, con i fuochi d’artificio praticamente sempre accesi!
Tempo di calmarci un attimo e si salta indietro di nove anni fino a Wishmaster, ma non per la ormai strafamosa title track, ma per Dead Boy’s Poem, eseguita veramente molto bene e a cui viene tagliato il finale per inserire nell’assolo di Emppu Walking in The Air, arrivando fino al 1998 quando uscì Oceanborn. Beh, c’è da dire che in quanto a novità in scaletta non si sono risparmiati!
E a questo punto uno dei momenti salienti: l’esecuzione della ormai classica The Poet And The Pendulum, opener di Dark Passion Play. C’è da dire qualcosa? Direi di no, esecuzione ottima come al solito! E gli effetti pirotecnici sono a dir poco azzeccati!
Beh, è tempo di tornare a saltare con Nemo e all’ormai tipico lancio di schiuma di sapone manco fossimo ad uno schiuma party! E si ritorna in medio oriente con Sahara, una delle canzoni che a mio parere di profana del canto professionistico riesce meglio ad Anette Olzon.
Altro discorsino velocissimo di Marco e appaiono 3 sgabelli, 2 braceri e 2 chitarre acustiche. È tempo di volare nella vecchia Irlanda e sognare un po’ con The Islander, con ancora l’ospite d’eccezione Donockley ai flauti.
E ancora Last of The Wildes con le cornamuse live. Uno spettacolo per occhi e orecchie.
Qualcuno che ha letto le mie recensioni si starà chiedendo come mai riesco a ricordarmi tutte le canzoni se sono sempre stata a dire che ho una memoria a dir poco scadente per le scalette dei concerti…beh, ringrazio il simpatico membro della security che con molta gentilezza mi ha passato uno dei fogli con la scaletta!
Tornando a noi, c’è un’altra novità: The Escapist. È raro veder eseguire in sede live una canzone che ha la caratteristica di essere una Bonus Track, però eccoli che la eseguono. Uno dei pezzi più difficili della serata, ma dalla resa assoluta, calcolando che è considerata da una gran fetta di fan una delle più riuscite dell’ultimo album.
A questo punto annunciano l’ultima canzone, Dark Chest Of Wonders…ma chi ci crede! (sì ok avevo già la scaletta in mano a quel punto della serata…però) dopo pochissimo beh, solo tre parole: Ghost Love Score! Forse la più bella canzone mai composta dai finnici, ritorna in sede Live dopo l’ultima esecuzione nel 2005. E il pubblico inizia a spingere un po’.
Lo scorso anno avevano spinto molto di più! Anette si dimostra assolutamente abile ad una canzone che anche io credevo impossibile da rifare senza una voce soprano lirico. Mi sono dovuta ricredere. La svedese se l’è adattata alle sue capacità, ma come tutte le altre lo fa in modo da renderle sue, e riesce a mantenere l’aria di solennità che si aggira attorno alla Suite di Once.
Questa volta è veramente l’ultima. Un veloce discorso con scambio di battute tra Marco e Anette sullo striscione “Nightwish For President” che è stato attaccato sulle gradinate di fronte al palco e inizia Wish I Had An Angel. Inizio ad essere un po’ stanca ma questa canzone esalta. Punto e basta. È cattiva abbastanza da farmi saltare come un canguro. Chiedo scusa al ragazzo di fianco a me per avergli oscurato la vista del palco col mio headbanging!
È ora di tirare le somme. Un concerto stratosferico. Uno dei migliori a cui ho assistito, dopo i Pain a Milano, i Vanden Plas al Roccolo Park Fest e i Dark Tranquillity. Ah sì, anche delle Crucified Barbara e avevo visto tipo 3 giorni prima a Bologna. Favoloso, veramente, 100 volte meglio dello scorso anno a Milano. Aspettando il Metal Camp…