Le ultime serate metal svoltesi al Thunder a cui avevamo assistito si erano rivelate ottime dal punto di vista musicale, ma desolanti per presenza di pubblico, oltremodo sparuto; uno scenario mortificante per le bands, che si trovavano a esibirsi in un contesto quasi surreale, ma anche per il semplice appassionato. Trovarsi in quattro gatti fa sempre un po’ tristezza.
Sabato 6 settembre, data della quinta edizione del Nihil Extreme Metal Fest, ha segnato una vigorosa inversione di tendenza, grazie allo spostamento dei concerti, per anni alla domenica, in un giorno dove la gente ha più agio a muoversi e si fa meglio ingolosire da un festival come questo, che presentava un bill vario e di caratura artistica molto elevata e che pescava a piene mani nel florido underground estremo italiano. Il ricco programma prevedeva inoltre due gruppi di chiusura quali Sinister e Impaled Nazarene, questi ultimi grandissimi aficionados dei palchi italiani. La risposta del pubblico, si diceva, ha superato ogni più rosea previsione: parcheggio del locale stracolmo già nel pomeriggio, folte schiere di appassionati a stazionare dentro e fuori il Thunder già parecchie ore prima degli headliners, un gran bel vedere in poche parole.
Per precedenti impegni perdiamo i primi quattro act, cosa dispiaciutaci assai dato il valore dei medesimi: Necroart, Lifend, Worthless e Collapse Within non sono dei pischelli qualsiasi, e si saranno sicuramente fatti valere sul palco del Thunder. Il nostro festival comincia coi Frangar, a me per nulla noti fino a questa esibizione, che richiama sotto lo stage una quantità insospettabile di fans.
L’aspetto scenografico incute un certo timore reverenziale; le bandiere della Signum Martis, associazione di gruppi black italiani volta a celebrare storia e tradizioni italiane e degli antichi romani, campeggiano ai lati della batteria, un simil-leggio, anch’esso rivestito della stessa bandiera, è posizionato al centro dello stage, mentre un pezzo di filo spinanto viene avvolto alle transenne. La minaccia è palpabile.
I cinque musicisti fanno ingresso sulle note di un motivo italiano degli anni ’30, elemento che tornerà ancora nel corso dello show; l’abbigliamento dei ragazzi della band non passa inosservato, camicia nera e cravatta dello stesso colore, fascia rossa al braccio, portamento fiero e militaresco.
A un apparire tanto distintivo, fa seguito un concerto sopra le righe, incentrato sul puro impatto e su testi, in italiano, che celebrano il passato di un’Italia forte, battagliera, mai disposta a cedere il passo al nemico. Qualcuno interpreta certe frasi ed espressioni ad effetto, pregne di orgoglio per il glorioso passato italico, come il sintomo di una pericolosa deriva politica estremista, ma penso sia una lettura fuorviante, incapace di rendere giustizia al messaggio del gruppo, che invece risulta anche più incisivo per la scelta della lingua madre e per le tematiche trattate. La musica è un black metal d’assalto, senza pietà per i suoi nemici, di una crudezza da brividi, dove rarefazioni prog e romanticismi non sono di casa. Qua conta far danni, e in questo i Frangar non hanno troppo da imparare. 1943, introdotta dalla sirena dell’allarme aereo (riprodotta dal vivo), Polvere Piombo, Totalitarian War mitragliano impazzite l’audience. Il Colonnello, vocalist e anima furente dell’ensemble, incita al massacro ossessivamente, mentre fa paura l’occhio glaciale del chitarrista Kaiser, uno che emana cattiveria da ogni poro della pelle. C’è spazio per un inno dal sapore più black’n’roll, tipo certi Carpathian Forest, con Inno Alla X-Mas, uno dei brani che più si fa acclamare quest’oggi. E quasi mi dimentico di La Grande Orma, truce affresco di guerra e sofferenza di grande pregio. La performance musicale dei blacksters nostrani penso non abbia scontentato proprio nessuno…
Cambio di sonorità abbastanza deciso sulle note degli schizzatissimi grinders bresciani Cadaveric Crematorium, che seguono appena dopo nel programma. Iniziano il loro concerto davanti a nessuno o quasi, in molti sono ancora fuori a prendere aria, dato che nel locale si soffoca, ma il richiamo delle loro stridenti note raduna in men che non si dica un’audience più degna.
Deve averli morsi una tarantola, questi Cadaveric Crematorium, i quattro ragazzi del gruppo ondeggiano incessanti sui loro strumenti, somatizzando al massimo le frustate spezzacollo della loro musica, mai tenue, né prevedibile, costantemente sull’orlo del caos e tenuta per le briglie a stento.
Tanta energia in corpo, ma anche l’intelligenza compositiva e le doti strumentali per possederla a proprio piacimento. Gli spazi abbastanza ampi delle prime file esaltano i più assatanati; tra quelli che stanno sopra, i musicisti, e quelli che stan sotto il palco del Thunder, i semplici ascoltatori, parte una folle gara a chi si distrugge meglio, e arduo è capire chi si stia facendo più male. Nonostante l’estrema virulenza, e la velocità d’esecuzione sempre oltre i limiti, i Cadaveric Crematorium tengono incollati orecchie e occhi degli astanti alle loro gesta; e, nonostante non vadano mai fuori dai confini del genere in cerca di contaminazioni, variano i colpi così bene da non risultare mai prevedibili.
Istinto animalesco ed eclettismo misurato governano una performance dispendiosissima, i ragazzi sudano ettolitri di liquidi e lasciano senza fiato tutti, finendo tra gli applausi.
Viene ora il turno degli Ad Hominem; sulla locandina li danno per un gruppo francese, ma ciò è vero solo in parte, dato che condividono coi Frangar due membri della line-up.
Rispetto ai loro colleghi, sono in tenuta maggiormente in linea col black-metal style, per tutti e quattro c’è uno sbavato face-painting a incattivire i volti, su cui ogni segno d’allegria è passato da un pezzo. Intransigenza sonora e tematica fanno capolino pure a questo giro, seppur sotto un’ottica diversa. Gli Ad Hominem sono più zanzarosi, il loro black ha suoni meno carichi e maggiormente old-school. Una patina di monotonia ne contraddistingue i primi brani, troppo monolitici, ostinatamente su cadenze medio-veloci. Per fortuna quest’impressione non dura molto, abbiamo modo di apprezzare progressioni sul filo del rasoio, nere varianti chitarristiche rendono via via ricco e intrigante il sound di quest’ensemble italo-francese e il livello del concerto lievita semza freni.
Lo show acquista spessore, aiutato da una presenza scenica essenziale, poco comunicativa e molto arcigna. Poco da eccepire pure per loro, e stoccata finale del singer a un gruppo di nazi da quattro soldi poco sotto il palco, che dopo i saluti fascisti esibiti per Ad Hominem e Frangar si stavano mettendo a inneggiare ad Hitler. “Mi sa che qualcuno non ha capito proprio niente”, le parole di Kaiser Wodhanaz, tra l’altro chitarrista negli stessi Frangar, rivolte a questo gruppetto di facinorosi, che abbassano la testa e se ne vanno con la coda tra le gambe.
Siamo in dirittura d’arrivo, sarebbe il momento dei Sinister, ma gli olandesi si fanno attendere un po’ troppo; i minuti passano e diventa ormai chiaro che vedranno irrimediabilmente tagliata la loro set-list. La causa del ritardo è da imputarsi ad una chitarra capricciosa, e solo dopo estenuanti prove tecniche lo show può avere inizio. Dovendo concentrare tutta la propria rabbia in poco tempo, l’act dei Paesi Bassi va subito all’attacco senza tanti preamboli.
Peccato doverli vedere in forma ridotta, perché stasera i Sinister sono in giornata di grazia; i tre pelatoni schierati di fronte a noi, un bassista, un chitarrista, e in mezzo il ruvido singer, sputano un death senza sorprese, ma efficacissimo nel rileggere tutti gli stilemi di un genere tanto immortale. Tempi medi burrascosi, rotti continuamente dalla doppia cassa di Edwin Van Den Eeden, scurissime accelerazioni controllate, un gorgoglio profondo e brutalissimo ad opera di Aad Kloosterwaard, un tempo batterista del gruppo ed ora suo cantore, scavano un solco profondo nell’animo dei presenti.
Il pubblico va in visibilio, foraggiato dalla partecipazione molto fisica messa in campo dai musicisti; i quali lasciano sbigottiti quando, passato quello che a tutti è sembrato un tempo ridicolo, annunciano di essere agli ultimi due brani. Purtroppo si va già a chiudere, ma la mezz’oretta scarsa donataci da questi inossidabili deathsters ha sicuramente esaltato tutti quanti.
In costante avvicinamento alle temperature equatoriali, il Thunder Road si prepara a dare il benvenuto ai finisseur dell’estremo, i lord dell’impuro, i gentleman del bon-ton a fil di clavicembalo; Mika Luttinen sono ore che gira dentro e fuori, parlando con chiunque, facendosi fotografare come un divo al Lido di Venezia, bevendo di tutto e soprattutto in quantità industriali.
L’occhio perso in un’altra dimensione già qualche ora prima di cominciare a suonare non deporrebbe troppo a favore del luminare finnico; però, a pochi minuti dall’andare in scena, il suo bestemmiare sconclusionato (in italiano) dietro il tendone nero del palco ci fa capire che una certa qual furia animala si sta per scatenare.
Signori, signore, nobiluomini e nobildonne, gli Impaled Nazarene vanno ad aprire sulle candide note al veleno di Vitutuksen Multihuipennus e ogni dubbio sullo stato di salute del singer viene spazzato via immediatamente. E’ uno show tutto sangue, piombo e perversione. Mikka riempie la sala delle sue urla acide, nevrotiche, impossibile dire che questo sia cantare, la sua voce è più simile a quella di un animale ferito, impazzito di dolore e rabbia. Le facce da manicomio dei cinque, unite alla loro musica senza compromessi, sono la sintesi massima dell’estremismo più becero anti-evoluzionista, ma anche più genuino.
Difficile avvicinarsi così bene come fanno loro al concetto di puro impatto, pura violenza, variando praticamente nulla da un brano all’altro e andando avanti senza sosta a macinare songs corrotte nel sound, come nei testi, senza sbagliare nulla ma inebriando gli animi in un sabba di demoni ubriachi, senza pause alcune. Suonano tanto gli Impaled Nazarene, violentano alla grande una porzione consistente del loro repertorio, pescando dagli albori di Tol Cormpt Norz Norz Norz e Ugra Karma(The Crucified, Soul Rape, Condemned To Hell), fino agli estratti di Manifest e Pro Patria Finlandia (Original Pig Rig, Pathogen, Weapons To Tame A Land). Gloria eterna i nostri se la meriterebbero anche solo per pezzi come Motorpenis e We’re Satan Generation, veri manifesti di pensiero estremista, talmente irriverenti da sfociare nel genio puro. Non vi sto a raccontare il macello che fa da contorno, potete immaginarvelo benissimo da soli, d’altronde non sista assistendo a una serata di valzer. I Karmageddon Warriors (altra canzone bestiale suonata oggi) sforano abbondantemente l’ora di concerto, scendono giusto un attimo dal palcoscenico per gustarsi l’incitamento degli astanti e rientrano per sparare le ultime tre cartucce, col colpo di grazia affidato a Total War – Winter War. Lunga vita ai terroristi finlandesi, per l’ennesima volta hanno sconsacrato l’italico suolo con una performance da urlo, di rara e inestimabile bestialità primitiva. Vorrei chiudere con la citazione di un passo particolarmente significativo dell’Impaled Nazarene pensiero: We’re satan generation we don’t give a fuck, virtues, values and innocence all long dead and gone. Sono i versi di apertura di We’re Satan Generation e se non è poesia questa….
Impaled Nazarene tracklist:
1-Intro
2-Vitutuksen Multihuipennus
3-Armageddon Death Squad
4-The Crucified
5-Goat Sodomy
6-Hardboiled And Still Hellbound
7-The Horny And The Hornet
8-Original Pig Rig
9-Motorpenis
10-Pathogen
11-For Those Who Have Fallen
12-Soul Rape
13-Cogito Ergo Sum
14-1999: Karmageddon Warriors
15-Zero Tolerance
16-We’re Satan’s Generation
17-Pandemia
18-Goat Perversion
19-Condemned To Hell
20-Weapons To Tame A Land
21-Sadhu Satana
22-Total War – Winter War