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ORIGIN + PSYCROPTIC + LENG TCH’E + DICTATED @ CARLITO’S WAY 29/02/2012

ORIGIN + PSYCROPTIC + LENG TCH’E + DICTATED @ CARLITO’S WAY 29/02/2012

Sconforto ed estasi. Tristezza ed esaltazione. Tanti sono stati gli stati d’animo che si sono mescolati nella magica notte del 29 Febbraio, unica data in Italia del tour di Origin e compagnia bella e serata conclusiva di tutta la loro scampagnata europea. Gli stati d’animo negativi vengono dall’assurdità che un gruppo indecente come i Legion of the Damned suoni davnti a centinaia o migliaia di persone mentre a vedere gli Origin c’erano la bellezza di 84 (!!!) paganti. Ok, gruppi abbastanza ostici, concerto infrasettimanale e tutto quello che volete ma vedere un Carlito’s mezzo vuoto è abbastanza sconcertante. Comunque i pochi presenti si sono goduti quello che è stato sostanzialmente un mini-festival all’insegna della brutalità e della tecnica sopraffina in cui i gruppi non hanno risparmiato un’oncia di sudore pur di fare uscire i fan soddisfatti e stremati.

DICTATED

Non sono ancora le otto che i quattro baldanzosi olandesi salgono sul palco e attaccano i pochissimi presenti con il loro cattivissimo brutal death imbastardito con un pizzico di hardcore. Scelta non originalissima, d’accordo, ma i ragazzi suonano con cuore e discreta tecnica e il sottoscritto insieme ad altri ragazzi presenti in sala si butta sotto il palco come richiesto dal biondissimo cantante per fare un po’ di sano headbangin’. Veramente un buon gruppo questi Dictated, capaci di piazzare dei breakdown veramente assassini e di tenere il palco come dei veterani. La mezzoretta a loro disposizione vola via piacevolmente e un po’ di sano pogo nel finale esalta il gruppo e il sottoscritto.

LENG TCH’E

Putroppo quasi tutto quello che può andare storto durante l’esibizione dei folli grindcorers belgi decide di farlo come da buona tradizione delle leggi di Murphy. Si parte col gruppo che sale sul palco con ancora il soundcheck da fare, con conseguente ritardo nella scaletta e suoni impastati e bassi nelle prime due canzoni. La ciliegina sulla torta è un pubblico che si disinteressa quasi completamente dei Leng Tch’e e se ne sta completamente sulle sue a guardare il merchandising o a bere al bancone. Un vero peccato perchè il quartetto regala alla decina di fan sotto il palco una performance meravigliosa grazie al loro grind infarcito di death e sottili influenze stoner. Tra il pubblico si scatena l’inferno con mosh e un paio di wall of death che mi triturano le ossa. Epico il momento in cui il frontman Serge invita un ragazzo sul palco e quest’ultimo sfoggia un carisma e una voce da vero grinder: duetto spettacolare! Lo stage diving del cantante (a dire il vero un po’ cicciottello) completa l’opera e la mia povera schiena urla di dolore. Concerto grandioso ma gruppo forse un po’ fuori contesto.

PSYCROPTIC

Il quartetto tasmaniano sembra essere attesissimo dai fan e la pubblicazione sotto l’ala protettiva di Nuclear Blast del massiccio “The inherited repression” fa sì che i Psycroptic arrivino sul palco carichi a mille. Putroppo anche in sede live le mie impressioni non sono smentite: un buon gruppo dotato di una notevole tecnica musicale ma affossato da composizioni un po’ fiacche e da un cantante non all’altezza. Il buon Jason Peppiat si presenta sul palco come un vero tamarro di periferia, con cappellino da camionista e maglietta bianca aderente al punto giusto per mettere in bella mostra il suo fisico da culturista e il suo braccio tutto bello tatuato. Anche la prestazione vocale putroppo non è il massimo e la scelta di abbandonare il growl in favore di un approccio hardcore anche nella rivisazione dei brani classici non paga. Peccato perchè la sezione ritmica è veramente in stato di grazia, in particolar modo Cameron Grant col suo basso a cinque corde si prende tutto lo spazio per sfoggiare il suo groove che negli album è un po’ nascosto. Qualche imperfezione del chitarrista non rovina una prova strumentale molto buona, peccato che per me un’ora di Psycroptic sia veramente troppa e dopo poco la noia sopraggiunge. Comunque sotto il palco pogo e stage diving regnano sovrani quindi può essere che sia il solo a pensarla così. Certo che con un cantante degno sarebbe tutta un’altra musica…

ORIGIN

E finalmente venne il turno degli Origin! Il quartetto del Kansas sale sul palco con il carisma e la sicurezza della band ormai esperta ma con una voglia di suonare e di spaccare come dei ragazzini di sedici anni. Il nuovo cantante Jason Keyser (con giusto un filo di esperienza negli Skinless, mica pizza e fichi!) è una vera forza della natura, in grado di passare dal growl allo screaming senza problemi e di coivolgere e divertire il pubblico. Vedere gli Origin live è un’esperienza che ogni amante della buona musica dovrebbe concedersi una volta nella vita. Io personalmente per i primi tre pezzi non ho potuto fare altro che rimanere a bocca aperta guardando quel mostro di Mike Flores inanellare centinaia di note sul suo basso come se niente fosse. Anche gli altri due musicisti sono due vere bestie, velocissimo e geniale il chitarrista e dinamico e potentissimo il batterista. La setlist attinge sapientemente soprattutto da “Entity” ma pesca anche qualche chicca dagli album più datati che mandano in estasi i fan con qualche anno sul groppone. In particolare durante l’esecuzione di “Swarm” il pubblico va in visibilio e il mosh esplode supremo! Anche il buon Jason ci mette del suo invitando una delle poche ragazze in sala a fare stage diving e successivamente un ragazzo a iniziare un circle pit. C’è poco da fare, gli americani senza un buon circle pit non sono soddisfatti! Un’ora passa velocemente e dopo il canonico bis i presenti si avviano all’uscita decisamente soddisfatti. Peccato che ci fossero così pochi presenti in sala ma aevidentemente il genio non è per tutti.