Esiste un genere migliore del thrash? Probabilmente no. Anzi, sicuramente no. E non parlo della qualità intrinseca della musica, quella è opinabile, ma dell’adrenalina che sa iniettare in un nanosecondo, dell’impatto epidermico, degli sfregi che ti lascia al minimo contatto con le note dei suoi esponenti. Infine, riuscite a trovare un altro tipo di musica capace di generare così tanti gruppi qualitativamente inarrivabili, nugoli di serial killer seriali che ancora oggi ti fanno scendere la lacrimuccia appena ne senti parlare, gente nata e morta nel giro di un album, lasciando dietro di sé una scia d’oro zecchino purissimo, tanta è la maestria tecnico/compositiva dei loro album? ANhc ein questo caso, direi di no. Bene, questo lungo sproloquio serve a introdurre un concerto destinato a restare tra gli highlights di questo 2009, l’accoppiata delle meraviglie Overkill – Exodus. Di spalla a questi due mostri sacri c’erano anche Torture Squad e Gama Bomb, purtroppo persi per impossibilità d’arrivare prima, causa il solito schizofrenico traffico milanese, ancor più folle nella sua densità a causa dell’acquazzone scaricatosi sulla città per tutta la giornata.

Gli Exodus fanno paura: della formazione originaria, è rimasto il solo Gary Holt, eppure l’identità della band è salva, custodita gelosamente nel dna di distruzione irradiato dai suoi musicisti, cinque thrasher bastardi dentro, che di infighettarsi e andare in giro a comportarsi da persone per bene non ne hanno alcuna intenzione. Per fortuna, perché come visto anche a Wacken lo scorso anno i meccanismi sono perfettamente oliati come negli anni della lontana giovinezza; basterebbe vedere come arrivano sul palco, carichi a molla, la faccia di chi sa che tra un amen andrà a sperticarti la schiena. Apertura classicissima con Bonded By Blood, Rob Dukes sfregia ogni nota con brutalità infinita, sul palco c’è la stessa atmosfera di metà anni ’80, coi musicisti invasati a vagare qua e là per il palco, con mosse da veri animali da palco, metal-head puri e incorruttibili come i fans che stanno lì davanti a “malmenarsi”. Possono fare quello che vogliono gli Exodus, andare a pescare nel materiale recente, più groovy e dal taglio moderno, oppure concentrarsi sui classici tempi spezzacollo dei primi lavori: il risultato non cambia, e tra una Children Of A Worthless God e una Piranha esagerata per veemenza e velocità d’esecuzione, la scelta è ardua. Nick Barker, ennesimo nuovo elemento comparso dietro i tamburi nella storia recente dei thrasher californiani, spacca alla grande e troneggia con la sua mole sul caos sottostante. Splendide anche le performance di Altus alla chitarra e di Gibson al basso, degni contraltari del deux ex machina Holt, un simbolo della vecchia scuola ancora lontana dall’abdicare. Strike Of The Beast pone il sigillo a un concerto old-school di qualità finissima, un vero e proprio manuale di vita per tutti le giovani band che volessero, in un giorno chissà quanto lontano, arrivare alla medesima intensità dei mostri sacri.

Giungere on-stage dopo le fiammate degli Exodus sarebbe dura per chiunque, fortunatamente dopo di loro non ci sono esattamente gli ultimi arrivati, ma uno dei pochi gruppi thrash che non è passato per le forche caudine dello scioglimento (e successiva reunion di prammatica), ossia gli Overkill. Anzi, costoro hanno sempre mantenuto la loro identità artistica, non hanno mollato la presa nemmeno negli anni di magra e sono sempre stati guidati dagli immarcescibili Bobby “Blitz” Ellsworth e dal funambolo del basso D.D. Verni. Intorno a loro, è passata una fiumana di gente, ma la bussola l’hanno sempre avuta in mano i due membri storici, così che gli alti e bassi vissuti durante la carriera sono stati ammortizzati senza troppi sconvolgimenti. La resistenza indefessa alle mareggiate del mercato ha permesso ai newyorkesi di ripresentarsi in grande spolvero quando il thrash si è rimesso a tirare come uno stallone imbizzarrito e questo tour con gli Exodus è la conferma di uno stato di salute straripante: Ellsworth, a dispetto del grave ictus che lo aveva colpito qualche anno addietro, sfoggia un fisico tiratissimo e una voce spaventosamente potente. Chi lo conosce solo per lo stridore aspro e inconfondibile con cui interpreta i pezzi sugli album non può immaginare quanta potenza abbiano le sue corde vocali, gli acuti che tira fuori farebbero pensare ad uno screamer tra i migliori sulla piazza in campo heavy classico, invece siamo nel pieno di un massacro thrash della miglior specie. Ellsworth si distingue oltretutto per un istrionismo e una teatralità rara in contesti tanto violenti, le sue pose dietro al microfono, le occhiate adrenaliniche con cui trapassa le pupille delle prime fila sono uno spettacolo nello spettacolo, accrescono il senso di overdose metallica iniettato dalle note.
Al confronto di quel che combinano on-stage, i dischi degli Overkill sembran quasi camomilla: anthem cantati a squarciagola (Rotten To The Core, In Union We Stand), orge di controtempi, stop’n’go e stacchi da togliere il respiro (E.vil N.ever D.ies, la stratosferica Elimination), le atmosfere avanguardiste, quasi un metronomico mantra metallico, di Necroshine, tutti i brani suonati questa sera lasciano dietro di sé un’infinita striscia di macerie. Al termine di una scaletta classicissima, per forza di cose compressa all’inverosimile perché il tempo è sempre tiranno, non si può che salutare con Fuck You, dentro la quale ci sta anche la motorheadiana Overkill, degno omaggio a chi per primo è riuscito a tradurre tanto annichilimento in note.
Si chiude nel tripudio generale una serata da culto, omaggiata da un numero di presenti più che ragguardevole, dato che segnala il buon fiuto di tanti metallari che conoscono la differenza tra un concerto vero e un happening tipo aperitivo con qualche chitarra distorta in sottofondo.