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PATTI SMITH

A volte è piacevole prendere un break dai “soliti” live distruggi-timpani e dedicarsi ad artisti i cui concerti sono un vero toccasana per il corpo e la mente. Il concerto bolognese di Patti Smith è stata una di quelle esperienze che vanno vissute per essere capite, in cui ogni elemento sembra al posto giusto e crea un’alchimia più unica che rara. La location perfetta, un piccolo parco che sostanzialmente come acustica è un’Arena Parco Nord in miniatura, solo molto più bello, intimo e fresco. Il pubblico non numeroso, grazie ad un’attenta ed oculata scelta di rendere disponibili giusto un migliaio di biglietti ad un prezzo più che popolare. L’importanza storica della data in cui viene tenuto il concerto, la ricorrenza della maledetta strage di Ustica che ancora oggi è uno dei tanti misteri insoluti del nostro Belpaese. Chi è di Bologna o dintorni dovrebbe davvero visitare il museo dedicato, per capire parte del nostro passato e lottare perchè certe cose non si ripetano più. Ed infine LEI, la vera sciamana del rock, la dimostrazione vivente che a 65 anni suonati si può ancora avere la carica di una ragazzina e trasmettere messaggi universali e di una profondità unica. La sola e unica Patti Smith.

Con una puntualità rara per il capoluogo emiliano, al calar del sole il Patti Smith Group sale sul palco e senza troppi preamboli le note di April fool, ultimo singolo del recente album della cantautrice, delizia le orecchie dei presenti. Inizio un po’ scontato e prevedibile con un brano gradevole ma non al livello del glorioso passato. Ci vuole un classico come Dancing barefoot per scaldare a dovere un pubblico molto eterogeneo e cominciare a fare venire i brividi. Patti sembra in forma come non mai e la sua splendida e inconfondibile voce non ha bisogno di quei canonici tre-quattro brani per scaldarsi, regalando emozioni fin da subito. Anche i membri della band sono veramente in stato di grazia e si rivelano ben più che semplici figure di contorno, in particolare i due collaboratori storici Jay Dee Daugherty con il suo drumming secco veramente impeccabile ed il mitico Lenny Kaye, chitarrista stratosferico con uno stile che incorpora sia il ruvido punk di MC5 e Stogees che certi virtuosismi alla Eagles. Tornando al concerto, la sorpresa arriva con la reggaeggiante Redondo beach, brano apparentemente leggero ma dal testo molto intenso, e con la clamorosa Pissing in the river, quasi da lacrime per il trasporto con cui viene eseguita. Poi tocca a qualche brano tratto dal nuovo album Banga, gradevole ma che dimostra decisamente di non essere molto adatto alla dimensione live per “colpa” di una notevole componente acustica e intima, oltre che una manifesta inferiorità nei confronti dei dischi storici. Patti si concede anche numerosi momenti in cui si rivolge al pubblico regalando perle di saggezza e la propria visione del mondo. Ogni parola della poetessa ha un peso specifico altissimo e tutto il pubblico ascolta in religioso silenzio, quasi che anche noi comuni mortali potessimo assimilare parte del suo genio dalla sua voce. Forse non è così, ma certe parole aprono la mente e offrono spunti di riflessione. Patti Smith parla prima del terremoto, esprimendo la sua solidarietà alle vittime ed agli sfollati, ma ricordando che queste catastrofi sono il lamento della Terra, che dobbiamo imparare ad ascoltare ed amare come un tempo; poi, prendendo spunto dalla strage di Ustica, si lancia contro i potenti del mondo e del loro modo di tenere nascoste troppi segreti, esplodendo alla fine in un liberatorio “They have to tell us the fucking truth!” che viene accolto con un boato del pubblico; infine, il messaggo che personalmente mi colpisce di più, quando dice che è importante riflettere, avere una coscienza civile e sociale, ma c’è un’altra cosa altrettanto vitale: “Have fun!”. Detta così sembra poca cosa, ma è un concetto che tante persone purtroppo dimenticano, e sentirlo pronunciato con trasporto ed enfasi quasi da ragazzina da Patti Smith gli dà un valore assoluto. Dopo un coinvolgente brano acustico e qualche minuto in cui Lenny Kaye diventa padrone assoluto del palco, il concerto volge verso il termine con il poker che tutti si aspettano. Gloria è uno di quei brani perfetti per essere suonati dal vivo, con quel crescendo che alla fine esplode incontenibile e fa cantare e saltare chiunque senta lo spirito del rock genuino e selvaggio nel pubblico. Becouse the night manda ovviamente in visibilio tutti i presenti, dimostrandosi un’esperienza che merita di essere vissuta una volta nella vita. People have the power se possibile è ancora più intensa, perché Patti sembra mettere tutta se stessa dentro questo brano, il suo messaggio e la sua carica positiva. Lo spirito di Fred Sonic Smith (co-autore del brano) vivrà per sempre nelle note di questa canzone e la carica con cui Patti e il loro figlio Jackson (alla chitarra, ovviamente) la suonano è il modo migliore per mantenere vivo lo spirito di uno dei più grandi chitarristi di sempre. Il bis è ovviamente la devastante Rock’n’Roll Nigger, una delle più grandi canzoni punk di sempre. Forse troppo estrema per qualche attempato signore sotto il palco, a me personalmente quando esplode l’urlo liberatorio “Nigger! Nigger! Nigger!” viene solo voglia di pogare furiosamente. Grande chiusura e poi sono sorrisi ed inchini della band e di una Patti che più invecchia e più sembra una bimba. E vederla con gli occhi illuminati ed emozionati mentre ringrazia il pubblico è una cosa che fa bene al cuore. Serata meravigliosa e perfetta, una di quelle che ti regala degli anni di vita e un sorriso ogni volta che ci ripensi.