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PESTILENCE + RITUAL OF REBIRTH + 1NE DAY

Tanti erano i punti interrogativi alla vigilia del concerto dei Pestilence . Band dal passato grandioso, capace di portare il death metal verso lidi mai esplorati, soprattutto in Europa, col capolavoro Spheres , nel lontano ’93; che ne segnò al contempo la fine perché troppo avanti per essere compreso dalle masse, portando Pat Mameli ad abbandonare la scena disgustato.
Anno 2008, Spheres e Testimony of the ancients hanno negli anni acquisito lo status di capolavori, dopo aver fallito miseramente con il super progetto C-187 Mameli annuncia un nuovo disco a nome Pestilence, a sua detta innovativo quanto Spheres ma alla fine se ne esce con un platter di death metal grezzo e primordiale, violento ma troppo banale come Resurrection Macabre per poi toccare il fondo con l’ultimo Doctrine che tenta di sterzare un poco la rotta verso un approccio più tecnico, forse dopo le critiche ricevute. I sentori di crisi per il povero Pat ci sono tutti, ma amiamo troppo i Pestilence per resistere, in che stato troveremo Mameli? Ma soprattutto, che scaletta ci proporranno i Pestilence? Una mega carrellata di classici da perderci la testa? Risposta troppo ovvia, con questo Mameli veramente niente è come te l’aspetti …

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Ma andiamo per gradi, quando giungo al Rock’n’roll di Romagnano hanno appena cominciato a esibirsi, pittati in modo abbastanza originale, i triestini 1ne day (dovrei essermi quindi perso le esibizioni di Nameless Crime e Torquemada ). Il quartetto ci propone durante le varie canzoni un ibrido tra il nu metal tanto in voga oramai più di una decina di anni fa e il metal core di oggi, con una spruzzata di Pantera e Fear Factory a condire il tutto senza farlo risultare troppo banale. Alcune song puntano su un approccio più melodico con ritornello ad impatto, altre sull’energia e la violenza, esaltate dall’ottimo lavoro dietro le pelli del batterista. Problemi tecnici costringono il cantante chitarrista Ote ad abbandonare la chitarra dopo pochi brani, dedicandosi totalmente alla voce. Ammetto di non essere un gran fan del nu metal a parte qualche eccezione, comunque la band dal vivo convince, senza però mai puntare troppo sulla personalità. Nota a parte, a mio parere potrebbe essere sfruttato più il ruolo del basso, che si limita ad accompagnare chitarra e batteria senza spiccare mai.

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Tempo di settare (assai velocemente) i suoni ed ecco materializzarsi sul palco i liguri Ritual of Rebirth . È la terza volta che mi capita di assistere ad una loro esibizione e per la terza volta il pollice è decisamente verso l’alto. I cinque, impegnati a promuovere il nuovo album Of tides and Desert (che la band, va sottolineato, ha deciso di rendere disponibile per intero anche gratuitamente dal sito ufficiale) concentrano la scaletta totalmente su di esso. La sensazione che si ha è che i brani siano ancora più carichi di groove, i chorus melodici così come la voce pulita sono quasi totalmente spariti nelle composizioni, rendendo il tutto più compatto e potente. La vena più progressiva e sperimentale della band però torna più ispirata e matura di prima nell’ottima The blind watchmaker (sulla quale è da applausi la sei corde di Ermal Zaka ), nel cui break centrale si respirano addirittura echi di Focus (il giornale), ma è riduttivo, se siete interessati cogliete l’invito della band e scaricatela gratuitamente, poi tirate voi le somme. Prestazione al solito terremotante, bellissimo il frontman Mr. Ale Gorla che sul palco lascia intravedere quanto il temibile gigante, in realtà, sia tutt’altro che cattivo e incazzato.

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Ed ora il momento più atteso, dopo una pausa sigaretta tutti (non molti in realtà) dentro al locale per assistere allo show dei Pestilence . Un Patrick Mameli dall’aspetto decisamente poco carismatico, rasato e grassoccio, saluta i fan presenti con l’intro del nuovo Doctrine in sottofondo, come prevedibile è infatti Amgod ad aprire il concerto degli olandesi. Le prime cose che saltano all’orecchio sono la voce di Mameli, molto simile a quella di Resurrection Macabre che niente c’entra con quella acidissima dell’ultimo lavoro, e la tonalità decisamente grave e potente delle sette corde di Uterwijk e Pat che vanno a coprire lo strabiliante lavoro di basso di Jeroen Paul Thesseling , dall’impostazione decisamente jazzistica che volerà letteralmente con le dita sul suo fretless a cinque corde dall’inizio alla fine del concerto conferendo grande dinamismo. Fortunatamente dopo qualche canzone la situazione migliorerà, ma per non perdersi nemmeno un passaggio, basta posizionarsi poco distante dalla spia del bassista, dato che non c’è niente a separare il palco dalla gente, e proprio davanti agli olandesi si crea una voragine perché ad accettare un amichevole pogo si è solo in quattro cinque persone. Tristesse.
Lo show prosegue all’insegna di Doctrine, facciamocene una ragione e godiamoci quello che i Pestilence ci propongono. Alla fine i brani estratti dal nuovo disco saranno cinque, decisamente troppi se si contano su un ora scarsa di concerto, ma fortunatamente dal vivo risultano molto più efficaci (fa eccezione una versione ultracadenzata di Absolution , che, già è lenta di per, risulta più simile a una polka che ha un brano death metal) grazie ad una prestazione decisamente d’impatto del four piece e soprattutto al lavoro di Thesseling che meriterebbe lodi fino alla fine del report.
Spiace molto, ma la figura di Pat mi perde sempre più i colpi, tra una canzone e l’altra parla a senso unico col pubblico, cose trite e ritrite e abbastanza adolescenziali del tipo:”usate la testa, fanculo la chiesa, viva il death metal, sono orgoglioso dell’ultimo album e del fatto che non abbiam mai fatto un disco uguale all’altro”(quasi volesse convincere più se stesso che i fan); quantomeno lascia perplessi. Già che ci siamo togliamoci l’ultimo sassolone così poi basta cattiverie, vengono eseguiti brani da ogni album (solo Resurrection Macabre dall’omonimo) ma da ognuno di essi, Doctrine compreso, vengono trascurate le canzoni più sperimentali e melodiche (niente Spheres, Demise of time, Stigmatized, nemmeno Twisted Truth!). Dei memorabili synth di chitarra di Spheres non vi è traccia.
Sfogate tutte le amarezze possiamo venire…punto!
Suspended animotion, The secrecies of horror, Soul search, Land of tears, Mind reflection (enfatizzata la massimo con questi suoni e punto più alto della serata) sono da urlo e valgono tutto il prezzo del biglietto. Si chiude con un unico bis, suonata per citare Mameli:”più bassa per non arrivare al cuore, ma dritta alle palle!” : Out of the body .
Saluti e il tendone si chiude definitivamente. Alla fine i Pestilence hanno spaccato i culi, ma un po’ di amaro rimane, perché la sensazione forte è quella che questo concerto aveva il potenziale per essere veramente qualcosa di magnifico ed è stato solamente un bel concerto a causa di scelte discutibili, seppur legittime.
La prossima volta la scaletta voglio farla io!