Finalmente, la data tanto attesa è arrivata: il Priest Feast è approdato in Italia, con un’unica data a Milano. Il Palasharp si presenta già gremito di persone in attesa sin dalle prime ore del pomeriggio. Una bella dimostrazione a coloro che dicono che “l’Heavy Metal e il Metal Anni ’80 fanno ridere” .
La festa c’è stata eccome, con tre grandi gruppi, e tre esibizioni di grande qualità. Una serata indimenticabile all’insegna del Metal allo stato puro.

Partiamo con il gruppo thrash di San Francisco, con un Chuck Billy decisamente in forma e coinvolgente, e sembra aver apprezzato molto il calore del pubblico italiano, che si lancia in stage diving e pogo. Palcoscenico essenziale e scarno, ma ci pensa il thrash dei Testament a riempire gli spazi. Implacabili, hanno infiammato il pubblico per circa quarantacinque minuti, dando una prova eccellente, sia da un punto di vista vocale, che musicale.
L’unica pecca sono stati i suoni, a mio giudizio un po’ bassi, e le chitarre a volte non si sentivano benissimo, sembravano dei ronzii confusi, perlomeno dalla mia postazione. Ottima conclusione con la title-track del loro ultimo album The Formation Of Damnation.

Cambio rapido di scenografia, ed ecco che arrivano i Megadeth, capitanati da un Dave Mustaine in grande forma, che, visto il poco tempo a disposizione, annuncia che parlerà molto poco, ma suonerà il più possibile. E non delude le aspettative, dando vita ad un concerto memorabile, sebbene l’inizio da un punto di vista della voce fosse leggermente altalenante, mentre da un punto di vista musicale tutti si sono esibiti in modo impeccabile, e Mustaine si è confermato il grande chitarrista che è, veloce, tecnico e preciso.
Sono stati riproposti grandi classici, come Skin ‘O My Teeth, Hangar 18, Symphony Of Destruction, Peace Sells...
Scenografia anche per loro molto scarna, anche se bisogna notare la batteria simile ad una gabbia, che di certo non poteva non saltare all’occhio. In compenso, ottimo il gioco di luci, azzeccato con il ritmo deciso e trascinante delle canzoni, che è andato a compensare la scenografia essenziale dei Megadeth. Complimenti per l’esibizione impeccabile e assolutamente esaltante!

Ed ecco il momento più atteso: l’esibizione dei Metal Gods. L’attesa è tanta, sebbene siano stati in Italia lo scorso Giugno per il Gods of Metal, ed è con l’ouverture di Nostradamus,Dawn Of Creation, che l’attesa termina, e viene illuminato lo stage, ricco ed evocativo, dove il rosso e il metallo svettano incontrastati. Dal punto più alto del palco compare lui, l’unico ed irraggiungibile Rob Halford, calato totalmente nella parte del profeta francese: avvolto da un manto argenteo, incanta tutto il Palasharp, come un profeta in cima alla montagna, declamando parole sibilline. Poi, scompare, e Rob Halford torna ad essere il nostro Metal God … Appunto cantando Metal Gods.
Sostanzialmente la scaletta non è cambiata dal Festival della scorsa estate a Bologna, ma questa volta i Nostri sembrano decisamente più in forma, a partire dalla coppia Downing e Tipton, e soprattutto Halford: non è un mistero che le malelingue lo diano completamente senza voce. La secca smentita arriva proprio ieri sera, dove Halford esalta il pubblico nei brani di Nostradamus (”That crazy guy up there” citando proprio il cantante dei Judas Priest), ma anche nelle vecchie glorie e perle del passato, come Eat Me Alive, Hell Patrol, Between The Hammer And The Anvil, ed Electric Eye, tirando fuori voce e grinta. La combinazione tra effetti scenici, tra cui lo spettacolare trono dorato tirato fuori per Death, e il gran finale con la moto con l’intramontabile Hell Bent For Leather, una band in grande forma, e la maestosità con la quale Halford tiene in pugno il pubblico, hanno dato vita ad una serata indimenticabile.
L’unica nota negativa è stata proprio data da una canzone tormentone come Painkiller, che, purtroppo, essendo molto richiesta dai fans, ed avendo avvicinato le generazioni più giovani, non poteva essere tolta dalla scaletta. Le note negative sono state due: la prima che Halford, vista l’età, certi acuti non riesce più a farli, e deve preservare la voce, ed essendo Painkiller una canzone per la maggior parte fatta di acuti, il risultato non è stato dei più felici. La seconda è che non è possibile che ci sia parecchia gente che si sia fermata e fossilizzata su Painkiller, quando ci sono ben altre canzoni, e soprattutto album, che hanno contraddistinto la band di Birmingham.
Nonostante questo, è stata regalata all’audience una performance maestosa e maiuscola da parte di tutti i componenti, che il pubblico accorso ha senz’altro apprezzato, esprimendo un sincero affetto e calore per delle vere e proprie leggende del Metal.
Lunga vita ai Metal Gods!