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ROTTURA DEL SILENZIO 2012

Mai come quest’anno la rottura del silenzio è stata una manifestazione (definirlo semplicemente un festival sarebbe riduttivo) vitale per la bassa modenese, una zona che come tutti ormai saprete è stata colpita dal terremoto molto più nel profondo di quanto le immagini in televisione non dicano. Molta gente si è riempita la bocca parlando della dignità di noi emiliani, di come saremo bravi e veloci a ricostruire, di come le zone colpite risorgeranno. Ma solo chi ci vive riesce a cogliere lo sconforto, la disperazione e la paura dietro occhi fieri. Ebbene, tre giorni di musica (aggratis come sempre!) nella solita splendida cornice verde e fresca dell’Ekidna hanno riunito persone e ridato speranza e un pizzico di serenità ad una popolazione provata. Il report ovviamente non riesce a coprire tutti i tre giorni, ma spero di riuscire a trasmettere le belle sensazioni che mi sono arrivate.

DAY 2

Lo ammetto, c’è un discreto buco temporale in questo report, ma la prima sera coincideva con il concerto dei Nasum, quindi l’ho dovuta saltare per forza. Il pomeriggio del secondo giorno era dominato da gruppi dalle sonorità un po’ soft, sul post-rock e simili, quindi decido di recarmi all’Ekidna per vedere gli ultimi tre gruppi, anche se purtroppo i Chambers me li vedo di sfuggita con gli ultimi due brani del loro set, non riuscendo quindi a valutare bene la loro performance che comunque mi è sembrata sofferta ed intensa come il post-hardcore richiede.

DEATH OF ANNA KARINA

Era qualche anno che non vedevo più dal vivo i Death of Anna Karina, notevole formazione capigiana che avevo seguito parecchio durante i loro primi anni di vita, quando suonavano uno screamo caotico molto vicino a quei geniacci degli Orchid. Dopo avere constatato con piacere che il nucleo storico di musicisti è rimasto invariato, rimango molto stupito dalla mancanza del cantante e frontman Giulio, comunque degnamente sostituito da un valido ragazzino che tende un po’ ad imitarlo come movenze e stile canoro. Anche il concerto riserva non poche sorprese: il quintetto ha virato verso un post-hardcore un filo meno caotico e con la presenza delle tastiere, una volta veramente massiccia, meno dominante. Forse un po’ più godibili ma anche più canonici, comunque il concerto fila via che è una meraviglia perché la classe continua a non essere acqua. Bravi, intensi e coinvolgenti.

LE OSSA

C’è ovviamente un po’ di diffidenza al riguardo del concerto de Le Ossa, anche perché il frontman Nevrouz ormai si è costituito un po’ un nome come “il pazzo di X-Factor” e la gente fatica a vedere il gruppo come una creatura collettiva. Il live comunque è la fatidica prova del nove, ed è lì che Le Ossa si dimostrano una band professionale, capace di tenere alla grande il palco e di coinvolgere un pubblico grazie a canzoni dal facile impatto. I singoloni televisivi vengono giustamente accantonati in favore di brani più ruvidi e robusti, molto più adatti ad una platea come quella dell’Ekidna. Peccato che dopo soli sei brani si sia costretti a porre fine su richiesta delle forze dell’ordine. Assurdo che l’unico vicino di casa dell’Ekidna, che si trova in piena campagna, rompa puntualmente le scatole alla prima occasione utile. Un po’ più di tolleranza non farebbe certo male. Poco male, c’è ancora una giornata intera (il fatidico day 3) dedicata a sonorità più pesanti e quindi decisamente più gustose.

DAY 3

La giornata di domenica è quella che storicamente ospita gruppi dalle sonorità prettamente Hc e metal, e anche quest’anno ci sono diverse band che definire massicce è riduttivo. Forse il problema di questa edizione è un pubblico non numerosissimo e una scelta della “scaletta dei gruppi” decisamente sbagliata. Purtroppo per motivi familiari mi perdo gli ultimi tre gruppi, chiedo scusa sia a loro che ai lettori ma purtroppo è andata così.

END OF A SEASON

Gli End of a season li conosco praticamente da sempre, quindi ho vissuto e visto vari cambi di formazione e leggere deviazioni nello stile. Ebbene, posso tranquillamente affermare che con questa line-up il quartetto reggiano ha trovato la propria dimensione perfetta e si può tranquillamente definire una delle migliori realtà hardcore italiane. Riuscire a trovare una dimensione personale ed allontanarsi da quelli che sono gli “standard” ed i cliché di un genere musicale che ultimamente si nutre di certezze e di routine non è facile, ma gli End of a season ci stanno riuscendo benissimo. Il loro HC urticante sfocia spesso nello sludge e nel doom, rendendo quindi il loro concerto intenso ed appassionante. Veramente ottima la prova del quartetto, soprattutto perché suonare di pomeriggio è veramente una sfida alla propria resistenza, e notevole la crescita di Marcella che è riuscita ad integrare benissimo il suo screaming graffiante con le sonorità del gruppo. Ottima band, merita veramente di essere vista dal vivo.

GRIME

Giusto il tempo di rinfrescarsi un po’ all’ombra di qualche albero ed ecco che sul palco salgono i Grime. Scelta strana, ai limiti della comprensibilità. Se c’è un gruppo che ha bisogno di buio ed un pubblico più numeroso quelli sono proprio i triestini, che comunque ce la mettono tutta per mandare in pappa il cervello dei pochi sotto il palco. Per chi non li conoscesse (recensione del disco in arrivo a brevissimo!), i Grime suonano uno sludge/doom veramente apocalittico. Dal vivo posso assicurare che sono ancora più impressionanti che su disco, con il basso e le chitarre ad un livello di distorsione disumano a macinare riff su riff e uno screaming acidissimo e veramente inconfondibile. Il quartetto tiene il palco per una buona mezzoretta, senza dire una parola tra un brano e l’altro, e alla fine mi sembra di essere letteralmente in un’altra dimensione. Le meravigliose proprietà psicotrope della musica…

JESUS AIN’T IN POLAND

Tra tutte le volte che ho visto i Jesus ain’t in Poland quest’anno, questa è l’unica in cui i grindcorers modenesi mi sono sembrati fuori contesto e un po’ fiacchi. Calore, posizione in scaletta decisamente sbagliata e il basso, che nell’economia musicale del quartetto è vitale, che si sente decisamente poco sono di sicuro elementi che hanno il loro peso. Comunque i modenesi mi sembrano un po’ più statici del solito, meno coinvolgenti nonostante l’esecuzione dei brani sia come sempre impeccabile. Forse il problema è che col cervello cotto dallo sludge dei Grime, sentire le stesse sfumature musicali all’interno del grindcore le fa sembrare un po’ all’acqua di rose. Ma il problema è sostanzialmente di una disposizione delle band all’interno della giornata che non ne valorizza le peculiarità. Comunque alla fine del set vengono suonati tre o quattro brani di fila dal primo album, per la felicità di nostalgici e fan della prima ora. Qua, complici anni di rodaggio e tour, lo smalto classico torna fuori e farsi triturare le orecchie con la classica “The monkey valley” è sempre un piacere.

GOTTESMORDER

Dopo tre gruppi così massicci e pesanti ci vorrebbe una pizza e una birra per schiarirsi un po’ le idee, rilassarsi e ripartire con slancio. E invece no! Alle otto salgono sul palco i Gottesmorder per distruggere ulteriormente la psiche dei presenti. Altro gruppo che non gode per niente della luce del sole, quindi a questo punto mi chiedo effettivamente se non conveniva spostare due o tre band nel pomeriggio per metterne altre nel loro ambiente naturale. Il post black metal dei Gottesmorder vive e si nutre delle sensazioni che solo l’oscurità della notte può portare, per cui la loro esibizione comunque con la luce del giorno perde in intensità. Comunque i pisani non sembrano scomporsi più di tanto e fanno un concerto impeccabile, intelligente e ricco di pathos. Ovviamente la scuola di riferimento è quella francese, niente face painting e borchie, ma tanta atmosfera e contrasti tra tempi dilatati e accelerazioni dilanianti. Poco cantato e niente voci pulite e angeliche, per fortuna. Alla fine un ottimo concerto anche se un po’ fuori contesto.

HOLY

Delusione della giornata. Quello che sulla carta doveva essere un’hardcore dissacrante e malvagio si è rivelato un innocuo e derivativo mix tra new ed old school decisamente scialbo. Anche gli Holy non sono stati certo aiutati dall’orario, ma loro a parere mio non ci hanno messo niente di speciale per tenere alte le sorti di un live fiacco. Forse ne ho sentiti fin troppi di gruppi HC e tendo ad essere un po’ selettivo, ma degli Holy salvo solo la voce ed il modo di cantare, molto espressivo, intenso e sofferto, lontanissimo dal cliché del tough guy alla Sick of it all. Peccato che la musica affossi tutto, così derivativa, semplice e scolastica, come se i Gorilla Biscuits avessero fatto uscire il loro album l’altro ieri. Ne è passata di acqua sotto i ponti invece, per cui purtroppo non riusco a farmi coinvolgere più di tanto e dopo un po’ mi annoio parecchio.

That’s all, come già detto purtoppo sono costretto a levare le tende, per cui ho perso i live di Keep the promise, Hammers ed Amassado. Complessivamente una discreta edizione, necessaria per i motivi elencati in apertura ma non al livello di altri anni. Comunque sempre un buon palcoscenico per scoprire realtà underground della ricca scena italiana. Mica poco di questi tempi…