Il fenomeno da culto del depressive black metal vede apparire finalmente in Italia il suo gruppo leader, il cui nome, probabilmente, se lo ricordano anche coloro che non frequentano certe sonorità particolarmente criptiche, di difficile comprensione per i non adepti. Prima dei capiscuola svedesi, allietano la serata un gruppo ancora giovane e poco conosciuto al di fuori dell’area del milanese, gli Stormcrow, e i più quotati Ad Hominem, raggelante macchina da guerra di nascita transalpina, ma ormai più italiana che francese. Il pubblico, considerata la natura da culto dell’evento, non è poi tanto sparuto, segno che le serate di qualità, mirate a un target di ascoltatori ben definito, riescono a solleticare i palati più esigenti. Chi è presente allo Zoe sa bene cosa vuole, e non fa mancare il suo supporto alla band di apertura, salita sul palco completamente pittata come tradizione black vuole e con il piglio di chi ha voglia di dimostrare quel che vale. La prestazione degli Stormcrow è sufficientemente carica d’aggressività da smuovere qualche testa tra gli astanti, i giovani blacksters sciorinano brani mediamente veloci e classici, viaggiando nel solco di quanto veniva suonato a inizio anni ’90 nella beneamata Norvegia. La tenuta dello stage è buona, il fare arcigno dei musicisti stronca sul nascere ogni minima interazione col pubblico, ma è un po’ la norma per questo tipo di gruppi. Nonostante una certa ripetitività della struttura delle song, affiorata nel corso dello show, gli Stormcrow si dimostrano gruppo capace e degno di aprire per i due grandi nomi che seguiranno di lì a poco.
Ben diversa, e oltremodo minacciosa, la comparsa degli Ad Hominem. I feroci massacratori capitanati da Kaiser Wodhanaz si sistemano con surreale tranquillità sulle assi dello Zoe, coadiuvati tra gli altri dal Colonnello, leader dei Frangar, che stasera, insieme ad altri due figuri altrettanto minacciosi, come lui incappucciati e con felpa degli Ad Hominem addosso, andrà a dare man forte dietro al microfono al Kaiser nelle parti più marziali.
Lo show dei quattro soldati del nero metallo non tradisce le attese: scaletta ampia e variegata, che spazia nella discografia della band seguendo il filo conduttore di un odio scellerato, senza limite, colonna portante di brani ferocissimi quali The Art Of Schizo e Arbeit Macht Tot. Il Kaiser ringhia con la consueta lucida rabbia distruttrice, i suoi scudieri gli tengono testa alla grandissima, le canzoni fuoriescono compatte e affilatissime, supportate da suoni impeccabili. C’è spazio per alcuni estratti del nuovo Dictator – A Monument Of Glory, così come per cose più o meno recenti. I tre incappucciati di fianco alla batteria contribuiscono a creare un’atmosfera militaresca, cupa, in grado di far morire il sorriso sulle labbra di chiunque. Non è il tempo della gioia, solo del dolore e dell’annichilimento, emozioni estreme ribadite dalla prima all’ultima nota e che daranno sicuramente vita anche al nuovo frutto malefico dell’ensemble, uscito proprio il giorno prima del concerto dello Zoe.
Piacevolmente stesi dagli Ad Hominem, ci apprestiamo a testare le doti live degli Shining, curiosi di vedere se si daranno ad atteggiamenti da aspiranti suicidi o sceglieranno un outfit più sobrio. Quando giungono on-stage, l’impressione che fanno è quantomeno bizzarra: bassista col capello impomatato tirato indietro, chitarrista pelato munito di occhiali da sole e cappuccio della felpa calato in testa, cantante zozzo di sangue finto, bandana, aria tra il fatto e lo sfatto, indosso una maglia sdrucita dove i buchi l’hanno vinta sul tessuto. Non avendoli mai visti prima, quasi quasi penso di trovarmi davanti il gruppo sbagliato. Anche sulla musica, se non si è usi al verbo dei suicide metallers scandinavi si rimane alquanto spiazzati; più che oppressione e inenarrabile tristezza prevalgono trame progressive, malinconiche, ricche di chiaroscuri, arpeggi vellutati, si potrebbe parlare di Opeth in versione black. Le sferzate chitarristiche squarciano i pezzi con apprezzabile ruvidezza, e il quadro generale delineato dalle canzoni è alquanto fosco, sordidamente ambiguo nella sua alternanza di attimi crepuscolari e pennellate di nero seppia. Il modo di rapportarsi del singer nei confronti dei fans è piuttosto istrionico, non mancano i momenti di cazzeggio, gli sproloqui non-sense e grotteschi, fintissime scene da blacksters maledetto, che si lecca il proprio sangue e indulge in atteggiamenti morbosi. Il ragazzo ci tiene a fare il personaggio, un po’ diverte, un po’ annoia, ringrazia i ragazzi della Nihil con una assurda canzoncina, gestisce con troppa flemma il tempo tra una song e l’altra, ma quando canta non mostra pecche di sorta. Trascorre così, in uno Zoe che va svuotandosi andando in là con l’orario, un’esibizione sicuramente interessante e pittoresca, che testimonia il valore artistico di un ensemble unico nel panorama mondiale, capace di trovare una strada lastricata di metallo tutta sua e in grado di non snaturarsi affatto dal vivo.