Sarà forse per far conoscere i gruppi storici alle nuove generazioni, sarà forse che i trentenni non riescono a mandare giù fino in fondo Municipal Waste e compagnia bella ma questo 2011 in ambito live è stato dominato dalla nostalgia. Dopo il carrozzone Big 4 tocca al Thrashfest portare in terra bolognese cinque gruppi che a cavallo tra gli anni 80 e 90 hanno infiammato le platee mondiali e farli suonari solo brani tratti da album classici dell’epoca. Causa lavoro mi perdo senza nessuna pietà i live di Mortal Sin ed Heathen e mi chiedo se sia normale fare iniziare un festival destinato soprattutto ai trentenni intorno alle 18, costringendo per forza di cose molti a perdersi parte dei gruppi. Comunque entro nel locale che i Destruction hanno appena attaccato quindi il disappunto scompare presto!
DESTRUCTION
Devo ammettere di non avere mai seguito particolarmente da vicino il terzetto teutonico, quindi ho seguito il loro live con attenzione ma senza il coinvolgimento che ho avuto per i due gruppi seguenti. Ciò nonostante i Destruction hanno sciorinato 45 minuti tirati e decisamente eccitanti anche per un non appassionato. Thrash di classica matrice teutonica con tutta la velocità e la tecnica che negli anni 80 regnavano e quella belligeranza sonora che la parentela stretta con l’hardcore regala a piene mani. A fronte di una resa sonora che ha dell’incredibile considerando che viene da un trio (i Destruction si sono aggiudicati il mio trofeo come gruppo più tecnico della serata, ebbene sì!), la voce è stato l’unico elemento che mi ha convinto poco. Perfetta e impeccabile, ma il sottoscritto rimane un amante del buon growl o comunque di voci più basse.
SEPULTURA
Dopo la canonica pausa e aver osservato sbigottito come molti presenti abbiano deciso di andarsene dopo il concerto dei Destruction, tocca finalmente al gruppo più atteso dal sottoscritto: i leggendari Sepultura! Sostanzialmente due erano gli interrogativi: come avrebbe suonato il nuovo batterista, un ragazzino di appena vent’anni, e come avrebbe interpretato il buon Derrick Green i classici tratti esclusivamente da Beneath the Remains, Arise e Chaos A.D.
Risposte: alla grande! Il buon Eloy Casagrande, nonostante la giovane età e un fisico esile, si è rivelato una vera schiacciasassi, potente e pieno di personalità, un vero e proprio valore aggiunto per i Sepultura. Il gigantesco frontman ha dimostrato dal canto suo di non avere nessun timore reverenziale e ha fornito una performance vocale e scenica di prim’ordine. Ogni brano viene osannato dai fan in delirio, mosh e circle pit sono decisamente massicci sotto il palco e il pubblico si diverte e canta all’unisono in tutto il locale. Tra i classiconi solo “Territory” viene suonata praticamente in apertura di concerto per scaldare l’ambiente al punto giusto. Per il resto le migliori cartucce vengono lasciate per la chiusura col botto. Mi riferisco in particolare a “Inner Self” suonata in maniera impeccabile e in grado di scatenare il finimondo oggi come allora e a un’esecuzione della strumentale “Kaiowas” incredibile, con tutti i batteristi del Thrashfest sul palco a suonare le percussioni creando un ritmo tribale capace di far muovere chiunque. Il gran finale tocca poi ovviamente a “Refuse/Resist” con il chitarrista degli Exodus a dar man forte sul palco e “Arise” a chiudere degnamente le danze con il pubblico che urla all’unisono “I see the world old, I see the world dead.”. Da brividi. E poco importa se a qualche nostalgico come il sottoscritto avrebbe fatto piacere sentire anche “Biotech is Godzilla”…
EXODUS
Sarò sincero, dopo un live talmente convincente come quello dei Sepultura, pensavo che non ce ne sarebbe stato più nessuno e gli Exodus avrebbero raccolto solo i cocci. E invece… Forti di un pubblico in totale delirio e di uno stato di grazia musicale pari a quello dei Sepultura, gli americani eseguono un live semplicemente devastante. L’affiatamento tra i musicisti è evidente, Gary Holt è semplicemente uno dei migliori chitarristi al mondo, il longilineo (!!!) Rob Dukes un frontman eccezionale che per tutto il concerto incita circle pit, i brani eseguiti vengono direttamente dagli album storici ovviamente degli anni 80. Tutti questi elementi riscaldano l’atmosfera e l’Estragon, anche se non pienissimo, diventa semplicemente una bolgia. I brani tratti dal celeberrimo album di esordio “Bonded by Blood” sono quelli che scatenano maggiormente i fan. Tutti i brani che ormai sono dei classici per ogni thrash maniaco che si rispetti vengono proposti, da “Piranha” a “A lesson in violence” passando ovviamente per la titletrack. Nel finale di concerto Andreas Kisser ricambia il favore salendo sul palco e la potenza di tre chitarre esplode come un’esplosione nucleare! Alla mezza, dopo un’ora abbondante di riff assassini, doppia cassa ininterrotta e una riuscitissima wall of death, il festival volge al termine tra lanci di bacchette, plettri e sorrisi compiaciuti dei presenti. A volte ripescare il glorioso passato è ben più di una mera operazione commerciale…