La prima uscita della Relapse del 2012 è in realtà una ristampa del disco d’esordio degli americani Abysmal dawn, terzetto dedito ad un Death di tipica matrice statunitense, molto tecnico, veloce e abbastanza brutale. From Ashes, uscito originariamente nel 2006 sotto Crash Music, viene ora ristampato con l’aggiunta di tre brani bonus inclusi nel primo demo della band. Operazione di recupero questa che non mi sento di condividere fino in fondo, anche perchè sono passati solo sei anni dall’uscita originale, non credo che il suono avesse un gran bisogno di essere ripulito o pompato e le tracce bonus sono solo versioni grezze di canzoni già presenti nella tracklist.
Considerazioni personali a parte, ci troviamo comunque davanti a un buon album tipicamente Death a stelle e strisce, quindi ci potrete trovare tutte le similitudini che volete con i vari Hate Eternal, Nile, Six Feet Under e via dicendo. Il maggior pregio dei californiani è quello di riuscire a suonare molto tecnici senza risultare eccessivamente prolissi o dare l’impressione di compiacersi; tutto questo grazie a brani lunghi ma non inutilmente cervellotici e una produzione fresca ed aggressiva. Già l’intro strumentale “Impending doom” mette le cose in chiaro con un oscuro e massiccio riffone di chitarra supportato da un drumming aggressivo e veloce che va direttamente a sfociale nella prima vera propria song dell’album. “In the hands of death” contiene tutti gli elementi che saranno poi ricorrenti in tutto l’album: un inizio strumentale carico di groove che sfocia nella parte più brutale in cui le due voci, un più gutturale e l’altra più stridula, si rincorrono sopra una cascata incessante di riff chitarristici introicati e blastbeat di batteria. Altrettanto buona la successiva “Blacken the sky” con molti cambi di tempo che ne enfatizzando l’andamento molto dinamico e un assolo di chitarra che farà andare in brodo di giuggiole i fanatici del genere. Nella media le successive canzoni, eccezion fatta per “Servant to their knees” che ad un certo punto ha un riff di chitarra veramente molto simile a quello di “Circle of Cysquatch” dei Mastodon. Acoltare per credere! Il brano che riesce ad elevare questo album sopra una risicata sufficienza è la fantastica “Solitude’s demise”, posta tatticamente a metà della tracklist. Finalmente i tempi rallentano e gli Abysmal Dawn fanno emergere tutta la loro maestria nel creare un’atmosfera cupa e oppressiva grazie ad un riffone vagamente sabbathiano ed un ritornello che si può quasi definire orecchiabile. Peccato che questo gioiellino sia solo una goccia in mezzo al mare e le tre successivi canzoni siano la solita cascata impetuosa di note che dimostrano sì l’ottima tecnica del trio ma faticano a trasmettere emozioni. Tra le ultime tre giusto “State of mind” mi ha regalato sani momenti di godimento grazie a un’ottima contapposizione tra passaggi veloci e brutali ed altri lenti e quasi vicini al doom.
Concludendo, siamo di fronte alla ristampa di un buon album d’esordio di brutal death americano suonato da una band americana con poca fantasia ma tanta tecnica e anche un pizzico di classe. Se siete appassionati del genere questo è pane per i vostri denti, altrimenti potete sorvolare.