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BERRI TXARRAK – Haria

Piccola premessa. Personalmente ho deciso di approcciarmi a questo album dei baschi Berri Txarrak affascinato dal loro attivismo politico, che li ha portati a cantare da sempre nella loro lingua madre e a collaborare con band molto attive come i Rise Against. Grande stima da parte mia per questo aspetto del terzetto, che li eleva quasi ad eroi romantici in un mondo in cui l’integrità e la coerenza sono diventati praticamente concetti alieni, ma bisogna analizzare bene anche la musica. Haria è un disco che necessita di molta pazienza per essere assimilato ed apprezzato, a dispetto della sua natura musicale che ha indubbiamente il punto di partenza nel punk rock. Il punto però è che è un lavoro che ha degli arrangiamenti così curati e delle influenze affini al genere di base ma che ne stravolgono un po’ l’essenza, complicandone decisamente una struttura altrimenti molto semplice e lineare. Non parliamo certo di Tool come punti di riferimento, ma di Foo Fighters che aggiungono quel pizzico di “cafonaggine intelligente radiofonica” e di Queens of the stone age, soprattutto nell’uso di alcuni riff vicini allo stoner e all’hard rock. Gli aspetti negativi di questo disco vanno però riscontrati in primis nella voce del chitarrista Gorka Urbizu, non particolarmente bella nè dal punto di vista del timbro nè da quello espressivo. Per fortuna un’ottima produzione salva le canzoni inserendo una bella dose di cori nei ritornelli in modo da sostenere un po’ il lavoro del povero Gorka. Altre cosa un po’ difficile da mandare giù, anche con ripetuti ascolti, è l’uso del basco, veramente una lingua che è la negazione della musicalità. Positivo il discorso dell’uso che ne fanno i Berri Txarrak per veicolare il loro messaggio politico ed ideologico, ma di sicuro una lingua meno aspra sarebbe stata più adatta alla loro musica. Haria, come già detto in precedenza, è un lavoro che si comincia ad apprezzare parecchio dopo ripetuti ascolti, quando si iniziano a capire perle come la title-track, brano di ampio respiro che unisce dolcezza ed intensità, forse quanto di meglio ci sia all’interno dell’album. Ma sarebbe un peccato perdersi “Lepokoak”, con il suo riff stoner marcissimo e cattivo ed un pizzico di psichedelia, e la conclusiva “Lehortzen”, sostanzialmente un reggae/dub elettronico dai tempi dilatatissimi e sognanti, decisamente ispirata dai Clash più sperimentali.

I Berri Txarrak sono un gruppo che necessita di molta pazienza, come già ribadito in precedenza. Se ci si avvicina ad Haria con il giusto approccio mentale, piano piano si entrerà nell’universo dei baschi e sarà difficile uscirne. Varrebbe la pena darci un’ascolto anche solo per capire come dev’essere fatta una una produzione prettamente rock, qua assolutamente perfetta, calda, avvolgente e un filo ruvida. Ma d’altronde ci ha messo le mani un certo Ross Robinson, un uomo che sa il fatto suo. Mestiere da imparare e rivalutare quelo del produttore “old school”, perché prima o poi la gente si stancherà degli album finti pompati al computer…

  • 6,5/10

  • BERRI TXARRAK - Haria

  • Tracklist
    1. Sugea suge
    2. Albo-Kalteak
    3. Haria
    4. Guda
    5. Lepokoak
    6. Iraila
    7. Harra
    8. Makuluak
    9. FAQ
    10. Non bestela
    11. Soilik agur
    12. Lehortzen

  • Lineup
    Gorka Urbizu. voce, chitarra
    David Gonzales. basso
    Galder Izagirre. batteria