Ha il sapore della rimpatriata con dei vecchi amici “Have A Nice Death”. I Bitter End fanno parte di quella folta schiera di thrashers dalle grandi doti e dal futuro prematuramente stoppato, smaccatamente bravi ma non baciati da sorte benigna. I fattori sono noti: saturazione della scena, cambiamento dei gusti delle masse, i piccoli grandi problemi di tutti i giorni che fanno naufragare agli albori anche le carriere più promettenti. Per i cultori dei tanti, meritevoli, gruppi minori apparsi come meteore tra fine anni ’80 e prima metà anni ’90, è sempre bello sapere che i loro piccoli grandi eroi esistono ancora, che c’è ancora qualcosa da ascoltare di nuovo e che spesso una nuova pubblicazione discografica fa da preambolo a qualche sporadica data in giro per il mondo, se non a una reunion più duratura. “Have A Nice Death” doveva essere il seguito dello splendido “Harsh Realities”, gemma misconosciuta partorita nell’anno di grazia 1990. Con l’esordio i Bitter End diedero alle stampe una decina di tracce in cui era riconoscibilissima l’impronta dei Megadeth, nel riffing e nelle vocals sardoniche e traballanti di Matt Fox, alla quale si aggiungeva un’intricatezza da techno-thrash, il senso della melodia vincente, in modalità ovviamente obliqua e non convenzionale, qualche accenno crossover e linee di basso spettacolose, probabilmente l’aspetto più notevole di quell’album. Nella presente pubblicazione troviamo le 6 tracce scritte per il secondo disco, mentre le canzoni successive rappresentano il demo “Meet Your Maker”, datato 1988, con versioni lievemente più grezze delle song apparse nel primo album, e una manciata di pezzi live dell’epoca, registrati così così ma comunque udibili.
Val la pena focalizzarsi sugli inediti, che nonostante fossero stati composti solo un anno più tardi “Harsh Realities” mostrano, accanto al taglio inconfondibile delle chitarre e alle caratteristiche pulsazioni del basso di Chris Fox, una propensione a strutture leggermente più aperte, meno nervose, che vanno a focalizzarsi maggiormente su melodie ad effetto piuttosto che su vertiginosi stacchi e controtempi. Si nota ad ogni modo che l’ispirazione non era venuta meno, e anche dovendo maneggiare trame più lineari i nostri ci sapessero fare alla grande.
“Tiny Minds” potrebbe provenire da “Countdown To Extinction”, ne sarebbe con ogni probabilità uno dei suoi picchi; in “Right To Lie” un ficcante mid-tempo si schiude a un chorus rallentato scosso da riff più dilatati e dalle solite grandi linee di basso; “Burning Bridges” addirittura si apre con un arpeggio, contempla uno sviluppo serrato e saltellante, ritorna alle chitarre arpeggiate nel ritornello in voce pulita e contempla una chiusura da pura semi-ballad. E ancora, come non emozionarsi per la direttissima “No Law”, numero di vecchia scuola incendiato dagli arditi incroci di solos di chitarra e rintocchi di basso, o per l’altrettanto serrata “Sludge”, con entrambe che propongono un riffing più secco e tranciante di quello generalmente messo in mostra in “Harsh Realities”. “Tunnel Vision” chiude la parte di inediti con un tocco di cupezza e drammaticità, mostrando i primi accenni di una evoluzione verso un stile ancora più personale e dai toni scuri, fin lì poco frequentati.
Bene, a questo punto penserete che “Have A Nice Death” serva solo a chiudere definitivamente la storia della band, sgombrando i cassetti del materiale dimenticato: nossignori, i nostri si sono appena riformati e, viste le chicche imperdibili che gli intenditori hanno potuto gustarsi in questi ultimi anni, la speranza che scavalchino l’Oceano Atlantico e vengano a incendiare i palchi europei nel 2012 non è poi una chimera. Li aspettiamo.