Rieccoli. Si sa, la vita contiene innumerevoli variabili, ma ci sono due cose delle quali possiamo essere matematicamente certi: la prima è che tutti prima o poi dobbiamo crepare, la seconda è che ogni due o tre anni i Cannibal Corpse tornano sul mercato con l’ennesimo disco spappola timpani. E noi amanti del metal estremo non possiamo che gioirne. Consci del fatto che comunque, vada come vada, la band di Buffalo non ci deluderà mai.
“Torture” è l’ennesimo macigno intriso di sangue e frattaglie che lungo il suo cammino disintegra tutto e tutti, senza pietà. E’ un tritacarne inesorabile, che riduce tutto in poltiglia. Prodotto ancora una volta dal fido Erik Rutan, il dodicesimo album dei Cannibal non è altro che l’ennesima conferma della netta supremazia di questa band che può vantare una carriera ultra decennale condotta sempre a livelli stratosferici. Durante il primo ascolto dell’opener “Demented Aggression” ho avuto la sensazione di ritrovarmi di fronte ad un vecchio amico: quando lo incontri anche dopo anni sono sempre sorrisi e gran pacche sulle spalle, perché sai che non è cambiato per niente e ti fidi di lui. E del quintetto statunitense ci si può fidare ciecamente, visto che anche per quanto riguarda questo ultimo lavoro il modus operandi della band non cambia di una virgola. Sono mazzate sempre e comunque, alternate a pezzi un po’ più rallentati come “Scourge Of Iron”, simili ad una morsa al collo che col passare dei secondi aumenta la sua presa fino ad annichilirti. Devo dire che rispetto al precedente “Evisceration Plague” ho notato un leggero riavvicinamento allo stile più brutale e veloce rispetto a quello impostato sul groove, cosa che personalmente in cuor mio speravo. Non siamo certo ai livelli di intensità dello spaventoso “Kill“, ma non ci si può certo lamentare. Quasi mi vergogno ad analizzare la parte esecutiva… Anche stavolta siamo davanti ad una band che sul piano puramente tecnico può insegnare a chiunque, o quasi. Il lavoro delle chitarre è come sempre pregevole , i riff si fanno a volte intricati e tecnici come in “Intestinal Crank”, mentre in altri frangenti uniscono la semplicità ad un’efficacia spaventosa, palesando le ben note influenze slayeriane. La sessione ritmica è il solito carro armato che avanza impazzito come se fosse pilotato da uno squilibrato e Webster si conferma come uno dei migliori bassisti del genere (il lavoro che fa in “The Strangulation Chair” e in “Caged…Contorted” è da mettersi le mani nei capelli), mentre il buon George come al solito fa il suo onesto mestiere dietro al microfono, senza risparmiarsi mai.
Mai tesserò abbastanza le lodi di questo gruppo. Mai sarà abbastanza il rispetto che sempre nutrirò verso questi cinque macellai. “Torture” non è un semplice disco, ma bensì l’ennesimo passo verso il mito. La consacrazione dello status di leggende che i Cannibal Corpse meritano e hanno saputo guadagnarsi nel corso degli anni, a furia di tour praticamente in ogni angolo del globo, sputando sangue e mantenendo viva una sana e pura passione per la musica che suonano e della quale sono visceralmente innamorati. Questa è una band che non sbaglia mai un disco, signori. Questo è un gruppo che nonostante il successo non si è mai adagiato sugli allori, continuando sempre e comunque per la propria strada, nel nome della coerenza e della mancanza di compromessi, regalandoci anche stavolta un piccolo gioiello di brutalità. Che rimarrà nei vostri stereo e nelle vostre orecchie a lungo. Almeno fino al prossimo, inevitabile eccidio sonoro. Nessuno come loro. Mai.