Posso ammettere candidamente che questa è la recensione più difficile tra tutte quelle che ho fatto? Non tanto per la difficoltà della musica in sè, ma perché i Din Brad sono quanto di più lontano solitamente passa tra le mie orecchie. Sostanzialmente tre sesti dei Negură Bunget più una voce femminile, i rumeni si presentano sul mercato discografico con un album fortemente folk molto legato alla musica tradizionale della loro patria, arricchita però nei brani suonati di quel pathos e quella intensità che caratterizzano la band di origine. Dor è un album importantissimo anche per capire e comprendere al pieno il percorso che ha portato i Negură Bunget dal black metal degli esordi alle influenze prog e folk dei giorni nostri. L’approccio con i Din Brad è sicuramente difficile e dominato da un certo dualismo, in quanto affiancati a brani “suonati” ve ne sono altri interamente cantati, molto sentiti ed espressivi, ma difficili da comprendere al pieno per chi non sia avvezzo alla musica tradizionale rumena. Che qua si esprime in tutta la sua multiformità etnica, arrivando addirittura a toccare sonorità che mi sono sembrate vicine alla musica ed al tipico gorgheggio mediorentiale, soprattutto nei brani cantati da Gădineț. Del resto la Romania è un territorio sconfinato, quindi il recupero di melodie tradizionali da parte della band immagino si sia esteso anche al di là della natia Transilvania. Interessante anche il concetto che sta dietro al gruppo, un contatto diretto con la natura ed in particolare con l’albero Fin, simbolo tradizionale di vitalità e della vita stessa. Vi consiglio di approfondire perché è veramente affascinante. Parlando delle canzoni nella loro forma più tradizionale, quelle con gli strumenti presenti, il lavoro fatto dal quartetto è semplicemente straordinario. Ovviamente non c’è nessuna traccia di distorto, sia ben chiaro, ma basso e chitarra acustica, ben supportate da percussioni, tastiere e flauto di Pan fanno egregiamente il loro lavoro, creando basi sonore spesso ipnotiche e suggestive su cui la voce di Alma, mai sopra le righe, va ad appoggiarsi perfettamente. Un esempio perfetto è la title-track, che sembra quasi un brano doom-folk-acustico, suadente ed ammaliante con le percussioni che cullano l’ascoltatore, mentre voci appena sussurrate e percettibili creano un’atmosfera assolutamente da brividi. Siamo su territori completamente opposti invece con un braino come “Doină”, creato sostanzialmente con dolci arpeggi di chitarra su una delicata base di tastiera, mentre la voce si esprime in un canto che sembra quasi essere di gioia sofferta, veramente molto struggente. I brani interamente vocali invece, come già detto, non mi sono sembrati particolarmente intriganti, soprattutto quelli con la voce tremolante e poco ricca di sfumature del bassista, ma comunque vanno indubbiamente apprezzati dal punto di vista filosofico e concettuale.
Come già detto in apertura, questo è un lavoro che è difficile da valutare perché si può approcciare da parecchi punti di vista. Per chi cerca metal duro e puro questo è sicuramente un album da non prendere in considerazione. Ma se invece andiamo a valutare il lavoro dei Din Brad nel contesto in cui Dor è stato ideato e concepito, la valutazione è indubbiamente altissima, perché il recupero di sonorità tradizionali arricchito dalla personalità dei notevoli musicisti è riuscito benissimo. Resta l’impressione che sia un lavoro fatto più per sè stessi che per una reale necessità discografica, ma mai come in questo caso si respira totale libertà espressiva, coerenza ed integrità. Chi ama il folk tradizionale e i Negură Bunget avrà trovato il disco dell’anno, senza ombra di dubbio.