Quando hai da convivere con un passato glorioso, quando ti capita di essere il pioniere di un genere e quando hai la fortuna (o la sfiga) di azzeccare le uscite giuste ad inizio carriera, dare il 100% non è più abbastanza. La gente, i fan, o i semplici ascoltatori immaginano che tu sia una fonte inesauribile, come una fiamma perpetua, di estro compositivo. E non comprendono che tu, umanamente, possa cambiare.
I Fear Factory lo sanno benissimo e credo non si illudano nemmeno lontanamente che questa nuova creatura possa accontentare tutti. ”The Industrialist” arriva a due annetti di distanza dal precedente “Mechanize”, un disco annoverato più per chi faceva parte della band (Cazares era rientrato e dietro le pelli si era posizionato Gene Hoglan) che per il livello qualitativo dei brani che possedeva, e si pone nell’ottica di essere accattivante come le glorie passate ma al tempo stesso di guardare al futuro con occhio clinico.
La band, come espressamente dichiarato, ha deciso di sostituire il drummer con l’intelligentissimo software, in grado di creare allo stesso livello (se non meglio) la precisione millimetrica e la velocità di batteria a sostegno delle ritmiche. La produzione è limpida e fredda come sempre, i suoni sono elettronici e pungenti mentre il mastering è come sempre di grande effetto. Il songwriting riesce a essere più accattivante rispetto ai più recenti lavori, dimostrando l’attaccamento che il duo Cazares/Bell ancora possiede per i suoni elettronici e house.
Di grosso da segnalare non c’è niente, vista la discreta linearità che la band propina nelle proprie tracce; di sicuro songs come “New Messiah”, “God Eater” e “Difference Engine” saranno quelle più accessibili, viste le strutture più semplici e la capacità di Burton C. Bell di arrangiare le parti vocali. “The Industrialist”, “Deprived Mind Murder” e “Recharger” riescono a colpire per violenza e cibernetica, mentre il duo finale “Religion Is Flawed Because Man Is Flawed” e “Human Augmentation” risente degli esperimenti noise a cui la band ci ha abituati da un pò.
Passo a passo, forse, il trio americano sta cercando di tornare ai fasti di un tempo. ”The Industrialist” sicuramente non farà breccia nel cuore dei fans al primo colpo, ma si potrà annoverare come una scossa che da un decennio non veniva avvertita. Professionali e freddi, come sempre.