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HUATA – Atavist of mann

L’ultimo lavoro degli Huata è uno di quegli album che indubbiamente mette davanti ad un bivio: suonare doom, in questo caso con derive stoner, è per forza un’atto di fede ai limiti del plagio o si può cercare l’originalità? L’ultimo album dei francesi, proprio perché tenta in più di un occasione soluzioni personali senza però distaccarsi mai completamente dai modelli originali, offre più di uno spunto di riflessione sull’attuale scena doom & derivati, quantomai viva e pulsante ma… fino a che punto può spingersi? Detto un po’ più chiaramente: doom, sludge, stoner e compagnia bella riusciranno mai ad affrancarsi dalla pesante ombra dei Black Sabbath? Tuttora è veramente incredibile come l’influenza degli inglesi sia nettamente percepibile in quasi ogni album del movimento doom: incapacità di staccarsi completamente dai fondatori del genere o genio assoluto di Tony Iommi, capace di generare una serie di riff e di soluzioni chitarristiche in grado di rimanere scolpite nella roccia per quarant’anni e chissà quanti a venire? Personalmente propendo per la seconda, ma sarei lieto di parlarne con appassionati del settore.

Tornando ai nostri francesi, come avrete forse intuito il loro Atavist of mann è un album di chiara ispirazione sabbathiana, anche se il quartetto è riuscito ad imprimere il proprio stile ed a rendere uniche ed in un certo senso magiche, anche se di magia esoterica parliamo, le sei lunghe tracce che compongono il disco. Partendo da una matrice doom fatta di riff bollenti, ripetuti spesso come da copione per creare quel tipico senso di alienazione, gli Huata riescono ad arricchire la loro proposta grazie a robusti inserimenti muscolari quasi post-hardcore, alternati sapientemente a quel buon sludge che fa vibrare lo stomaco e provoca sulla psiche effetti simili a sostanze psicotrope. Niente di nuovo sotto il sole, ma fatto con una tale integrità e dedizione alla causa che l’effetto è assicurato. L’aspetto, se non nuovo, quantomeno peculiare di Atavist of mann è la sua atmosfera, che già la copertina quantomeno lugubre introduce degnamente: un lungo viaggio, quasi una spirale discendente, in un mondo dove non c’è luce o gioia, solo puro occultismo, esoterismo e satanismo. L’impressione alcune volte è di trovarsi realmente dentro una messa nera, soprattutto nei momenti quasi “ambient” dove l’organo Hammond e voci sussurrate, appena percettibili, creano un’aria veramente da brivido, come quei film horror in bianco e nero che sopperivano alla mancanza di effetti speciali con la tensione dell’orrore non visto, quella minaccia incombente ed asfissiante che toglie il sonno. La registrazione aiuta molto l’immersione in questo particolare mood: i francesi hanno usato solo strumenti vintage ed una registrazione rigorosamente analogica, affidando al già citato organo Hammond quel tocco di elettronica sinistra che arricchisce e completa il suono. Il giudizio globale su questo album è quantomai soggettivo, ed c’è anche da aggiungere che è indirizzato ad una cerchia così ristretta di appassionati che per forza lo adoreranno. Difficile che possa appassionare chi non è ultra infervorato di doom, sludge o stoner, aggiungendo anche che qua l’atmosfera è così sulfurea che in confronto certi dischi black metal sembrano favole per bambini. Precisato questo, nel loro genere gli Huata hanno realizzato un vero capolavoro, consigliato ai cultori senza riserve, meritando di conseguenza una chiamata al Roadburn festival.  Ultimo breve appunto: per i più fanatici esiste una versione in cassetta realizzata in pochissime copie e disegnata a mano. Non male…

  • 8/10

  • HUATA - Atavist of mann

  • Tracklist
    1. Lords of the flame
    2. Operation Mistletoe
    3. Thee imperial wizard
    4. Part 1 - Testi sum capri
    5. Part 2 - Templars of the black sun
    6. Fall of the forth

  • Lineup
    Ronan Grall. voce
    Benjamin Moreau. basso
    Alexis Darnoux. batteria
    Christophe Marconato. chitarra