Tante volte, specie negli anni scorsi, mi sono chiesto cosa potessero rappresentare i cosidetti ‘dischi solisti’. Attaccato al concetto di band nel pieno senso del termine, trovavo strane questi ‘tradimenti artistici’; ho dovuto poi ricredermi leggendo varie interviste, dove veniva affermato che spesso gli ‘spazi’ concessi sono limitati o assenti.
Per cui accogliere il nuovo lavoro di Jeff Scott Soto mi risulta più semplice; premettendo (e forse è una fortuna) di non essermi mai interessato della carriera solista di questo grande turnista (oddio, avrei potuto usare un termine più ‘stradaiolo’), prendo “Damage Control” come una sorta di battesimo. Cerimonia positivamente riuscita, vista la caratura dei brani in essere e il modo in cui sono stati espressi al pubblico.Il platter naviga nell’esperienza, senza la pretesa di inventare nuove vie hard rock e che proprio per questo appare genuino e intenso.
La produzione è tipicamente AOR, con suoni caldi ma allo stesso tempo pulitissimi e gonfi, le performance sono giuste e sensibilizzate alla ‘resa’ (sarà anche l’interminabile elenco di ospiti da cui il buon Jeff si è fatto coaudiuvare), mentre il songwriting si impegna nell’ovvia valorizzazione delle immortali corde vocali del riccioluto singer, sempre a cavallo tra carica feroce e armonizzazioni controllate.
Se facessi un track by track finirei per fare la pubblicità al disco, vista il livello della posta in gioco; comunque, posso affermare che gli episodi più diretti sono anche quelli più ‘dotati’, come ad esempio la titletrack o la successiva “Look Inside Your Heart”. Palma d’oro al lentazzo “BonaFide” e alla conclusiva “Never Ending War”, con una citazione anche alla più easy “Die A Little”.
Un disco frizzante e fresco, di un vocalist che ha nel proprio background collaborazioni da dieci e lode; un AOR bello carico di emozioni e tenacia, che non fa che confemare la fama mondiale del nostro JSS.