Ormai non dovrei stupirmi più di nulla, in senso negativo: ascolto musica da più di trent’anni e anche nel lavoro più mediocre riesco sempre a trovare qualcosa che mi convince, un piccolo dettaglio che non mi fa pensare d’aver buttato ore del mio tempo.
Marilyn Manson incredibilmente c’è riuscito! Ormai lontano da quei fasti (più che dovuti) di fine anni ’90, quando il mitico reverendo pubblicava album come “Antichrist Superstar” o l’eccelso “Mechanical Animals”, e distante ad ogni modo dai lavori più recenti (“The Golden Age Of Grotesque” in primis), sembra che la produzione discografica della band si sia fermata ad uno stadio di autocompiacimento.
Il songwrinting riparte da quel “The Higher End Of Low” che aveva visto rientrare tra le fila il fido Twiggie Ramirez, disco che tutto sommato era riuscito a convincermi di una seconda giovinezza dell’ensemble americana qui sotto torchio; purtroppo “Born Villain” non mi appare seducente nello stesso modo: il songwriting è eccessivamente omogeneo e ricorsivo, riuscendo in un paio di casi di difficile distinzione le tracce contigue. I suoni sono spettacolari, la produzione ultrastellare come si addice a una band di questo calibro, ma in questa frittata di uova ne sono state usate poche…
Forse il meglio di “Born Villain” è riscontrabile nella parte centrale, quando l’orecchio si è abituato all’atmosfera ‘finto-ritmata’ dell’intero disco…canzoni come “The Gardener” o “The Flowers Of Evil” sono anche apprezzabili e tra le meglio riuscite, alle quali accosto “Lay Down Your Goddam Arms” e “Children Of Cain” che provano ad essere più ruffiane e immediate. Ma il resto del platter ha poco di avvincente.
I risvolti possono essere due: o Manson ha scelto di prenderci in giro facendo espressamente quello che gli piace e rispettando i termini contrattuali, oppure ha sfornato un lavoro che potremo capire solo tra qualche annetto. Di sufficienza, comunque, non se ne parla.