Ho sempre pensato che certi musicisti non avessero limiti. In realtà, ho capito che il concetto non è proprio così. E’ la musica a non avere limiti, ai musicisti spetta solo di capire se si è disposti a viverla con o senza barriere. In qualunque caso, alla fine, il risultato dovrebbe essere appagante.
I Meshuggah di limiti non se ne sono mai posti. A dir il vero, forse, è stata la critica a tentare di ‘ingabbiarli’, ma il quintetto svedese ha sempre guardato il proprio estro dritto negli occhi, carpendone i consigli utili e lo spirito di ricerca continua. A quattro annetti da “Obzen” e dalla sua vena più fine e titubante, i nostri arrivano con una release che già dal titolo spiega ogni cosa: “Koloss”. La recensione potrebbe terminare qui, essendo ogni cosa spiegata nelle sei lettere che denominano la nuova uscita.
Come sempre, l’evoluzione della band spaccherà pubblico e critica a metà: i meri detrattori sosterranno che si tratta del solito disco carico di ritmiche basse e tempi di batteria in costante movimento, mentre i fans urleranno di gioia per l’impresa titanica che questi cinquantacinque minuti rappresentano. La verità sta nel mezzo; non siamo di fronte al lavoro più accessibile, ne a quello più violento, ne a quello più melodico e nemmeno a quello più intricato: siamo al cospetto dell’album più interessante di questo combo, che incorpora tutte le caratteristiche del sound dei Meshuggah.
I suoni sono compressi, saturi e ricchi di bassi grondanti, il songwriting è paradossalmente lineare nella maggior parte dei contesti, con le esclusive varietà ritmiche sostenute da un Thomas Haake maggiormente dedito al tiro che al ‘complicare’ il pentagramma; viene perpetuata a fasi alterne una vena melodica (lieve) innovativa, la produzione è nettamente migliore di ogni lavoro precedente e le performance sono fredde e intimorenti, proprio per creare l’effetto ‘colossale’ che il platter richiede.
Dalle ritmiche cadenzate e violente di “I Am Colossus” e “The Demon’s Name Is Surveillance” si passa alle tracks più sperimentali che portano il nome di “The Hurt That Finds You First”, “Marrow” e “Break Those Bones Whose Sinews Gave It Motion”. Headbanging a rotta di collo per “Do Not Look Down” e le contigue “Swarn” e “Demiurge”, mentre un applauso lo merita la granitica “Behind The Sun”, dove la componente melodica trova uno sfogo angosciante.
I Meshuggah confermano la loro tesi di vita: ‘distruggi, cancella, migliora’. Una release lungamente attesa che potrà regalare nuovi spunti ai fans e chiamare al cospetto anche audience più diffidenti (o impauriti). “Koloss” è un perfetto status di grazia, una rielaborazione di quanto fatto, un nuovo traguardo…voi siete pronti a raggiungerlo? Colossali, e non è solo un gioco di parole.